Milano, Teatro alla Scala. 2 Luglio 2024.
La stagione 2023/2024 (così come quella 2024/2025) del Teatro alla Scala di Milano ha puntato giustamente l'attenzione su alcuni titoli che mancavano in cartellone da diverso tempo, riproponendoli con nuove produzioni. E' il caso del recente Werther di Jules Massenet, che mancava dalle stagioni del Piermarini dal 1980, quando Georges Pretre lo diresse, con Alfredo Kraus nel ruolo del titolo. Quest'anno l'opera è stata affidata alla direzione del maestro Alain Altinoglu, alla regia di Christof Loy e all'abilità artistica del tenore Benjamin Bernheim nel ruolo del protagonista.
Christof Loy ha presentato una messa in scena elegante e sobria, seppur un poco statica e non particolarmente variata tra i diversi atti. Non per questo, però, le idee proposte sono state poco convincenti. La scena si presentava poco profonda, agevolando in tal modo le voci dei cantanti che, non essendo costretti ad allontanarsi dal proscenio, sono risultate perfettamente udibili. La parete, che costituiva l'unica scena, era decorata da tappezzeria a righe e in essa scorreva una porta, che lasciava intravedere la casa del Borgomastro (Le Bailli). I costumi sono apparsi anch'essi eleganti, come il resto della messa in scena, oltre che vistosi e colorati. L'unica nota dolente della regia, purtroppo non rara, è stata la scelta di apportare modifiche all'opera (intesa in senso musicale). Christof Loy ha infatti scelto, in conformità della sua idea di far apparire Sophie molto innamorata di Werther fin dal primo atto, di modificare il libretto, facendo proferire proprio a Sophie (anziché a Le Bailli) la frase "Charlotte!... Albert est de retour!", facendole richiamare il giuramento di Charlotte fatto alla madre. Nei primi due atti la regia è comunque stata molto tradizionale. Nei due atti successivi si sono invece affacciate le vere e proprie idee registiche. Werther appare sulla scena come un fantasma (non visto dagli altri) per consegnare la lettera che preannuncia il suo suicidio e per chiedere in prestito delle pistole, che gli vengono consegnate proprio da Charlotte. Dopo gli spari fuori scena (che hanno creato una situazione abbastanza comica, tra cui un urlo soffocato di una signora in sala che non se li aspettava), Werther ritorna in scena, camminando per poi cadere con un movimento molto plastico (che ha messo in risalto le ottime doti attoriali del tenore Bernheim). Durante gli ultimi istanti di vita del protagonista, Albert è seduto a leggere le lettere di Werther a Charlotte, con sembianze trasfigurate, e Sophie si strugge, guardando la parete, quasi come presa da una follia che la pervade fino alla fine. La regia è dunque parsa di alto livello, con buone idee, seppure sia stata poco dinamica e con i limiti di manipolazione evidenziati.
Musicalmente la rappresentazione è stata eccellente.
Ha sicuramente primeggiato, in un'opera come questa, in cui è richiesta una presenza tenorile di primissimo livello, la voce splendida di Benjamin Bernheim, che ha offerto una performance tra le migliori che si possano sentire oggi e che ha mantenuto altissima la tradizione dei Werther scaligeri, rivelandosi quasi all'altezza dell'immenso Alfredo Kraus. Il tenore francese ha infatti sfoggiato un timbro di apprezzabile bellezza, oltre a un fraseggio ricercato, un volume vocale eccellente e un'interpretazione molto curata, tale da restituire romanticismo, tragicità, emotività, sentimento e fragilità umana. Gli acuti sono sempre stati eccellenti per intonazione e per squillo e la voce, benché fosse la sesta rappresentazione, non ha dato il minimo cenno di affaticamento, a dimostrazione di grande tecnica e di un canto facile. La tecnica vocale è emersa anche nei passaggi più delicati, resi con morbidezza e leggerezza, senza la voce perdesse mai di timbro. L'aria di punta del terzo atto "Pourquoi me réveiller" ha suscitato intense emozioni e ha meritato un trionfo di applausi. Bernheim ha dimostrato una padronanza piena del personaggio di Werther, riuscendo a incarnarne tutte le sue sfumature emotive, con una naturalezza e un'intensità che hanno catturato il pubblico fin dal primo atto. La sua capacità di passare dai momenti di struggente malinconia a quelli di esplosiva passione ha conferito una completezza molto apprezzabile al suo Werther, rendendolo, non solo credibile, ma anche profondamente umano e toccante. La sua presenza scenica è stata altrettanto eccellente. Un livello di esecuzione, dunque, altissimo dall'inizio alla fine della rappresentazione.
La Charlotte di Victoria Karkacheva ha convinto vocalmente, ma non interpretativamente, apparendo alquanto sottotono e spesso troppo aristocratica e un poco distaccata. La voce è comunque piacevole e adatta al ruolo, anche se perfezionabile in termini di dizione e di fraseggio. La sua Charlotte è apparsa un poco più sentimentalmente coinvolta nel terzo e nel quarto atto, in cui la sofferenza ha prevalso sulla compostezza aristocratica, sebbene non abbia lasciato un'impressione indimenticabile.
Eccellente, invece è stata la soprano Francesca Pia Vitale nei panni di Sophie. La voce è apparsa perfetta per il ruolo, oltre che ottimamente intonata, anche nel settore acuto, riuscendo (insieme ad un'interpretazione eccellente) a rendere la levità e la pienezza di vita di questa giovane ragazza. Scenicamente è stata altrettanto brava. La soprano è apparsa talmente brava da risultare forse più presente di Charlotte, pur vestendo i panni di un personaggio quasi secondario (in termini di importanza narrativa).
L'attempato Albert è stato interpretato da Jean-Sebastien Bou, che ha offerto una performance nel complesso pregevole. E' apparsa forse un poco sottotono interpretativamente l'aria "Elle m'aime!" del primo atto. L'interpretazione non infatti ha particolarmente convinto nella prima metà dell'opera. Nel terzo atto, però, è emersa bene la gelosia del personaggio. Vocalmente è stato nel complesso bravo.
Ottimi sono stati Le Bailli di Armando Noguera, Schmidt di Rodolphe Briand e Johann di Enric Martínez-Castignani, risultando molto partecipi all'azione scenica e impreziosendo le loro prestazioni con voci adatte, ben controllate e nel complesso pregevoli.
Completano il cast la Kathehen di Elisa Verzier e i bravissimi bambini preparati dal maestro Bruno Casoni.
Splendida è stata infine la direzione di Alain Altinoglu, che si è cimentato, con estrema professionalità, in questo repertorio, che gli si è rivelato molto congeniale e in cui riesce a rendere veementi alcune parti e molto melodiche altre. Alcuni passaggi molto ricchi di suono (forse leggermente eccessivo, considerando l'opera) sono comunque state pregevoli anche grazie ad una meravigliosa Orchestra del Teatro alla Scala, che ha mostrato un suono preciso e ha assecondato con notevole attenzione i gesti del direttore. Il preludio, l'intermezzo tra il terzo e il quarto atto, il finale del secondo atto e del quarto atto, sono stati solo alcuni dei momenti di spicco della direzione, in cui ha prevalso, più la dinamicità della musica, rispetto agli abbandoni melodici della partitura. La sua lettura si è distinta per una padronanza ottima della struttura musicale e per una guida dell'orchestra assai sicura, con gesti chiari e precisi. In particolare, il finale del quarto atto ha colpito per la sua intensità emotiva. Altinoglu si è quindi rivelato un direttore di alto livello e di notevole carisma, soprattutto nel repertorio francese (meno in quello verdiano, come ha dimostrato, qualche anno or sono, la sua non felicissima Aida salisburghese), ed uno dei punti di forza della serata.
Questa produzione di Werther al Teatro alla Scala è stata quindi, nel suo complesso, eccellente. La serata è stata un grande successo per tutti gli interpreti, soprattutto per Bernheim ma anche per il regista che è uscito sul proscenio insieme agli altri artisti al termine della rappresentazione.