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Un Ballo in Maschera • Biondi

  • Lorenzo Giovati
  • 29 set 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 30 set 2024

Busseto, Teatro Verdi. 27 Settembre 2024.

 

Il Festival Verdi, già da diverso tempo, promuove spettacoli all'interno del Teatro Verdi di Busseto, come al Teatro Magnani di Fidenza, così da articolarsi in modo diffuso e policentrico su quel territorio che può essere idealmente considerato “verdiano”. Nella corrente edizione, iniziata con una rappresentazione del Macbeth in francese di buon successo, il Festival ha proposto un’inedita messa in scena dell'opera Un Ballo in Maschera, proprio al Teatro Verdi di Busseto, grazioso gioiello fatto costruire dai bussetani per il Maestro, ma mai da lui frequentato per vicissitudini che sono consegnate alla storia.


Ha qui preso corpo venerdì sera un’operazione che si è caratterizzata, non soltanto per l’intelligenza della scelta, che ha offerto ai frequentatori del Festival, che non sono solo autoctoni del territorio, la possibilità di accedere, nello spazio di due sere, a proposte teatrali tra loro profondamente differenti, nell’ambientazione, come nell’impostazione artistica, ma anche per la freschezza e l’inventiva, molto giovanili, e forse anche per questo un poco spiazzanti, che ne hanno caratterizzato la realizzazione, ponendola in netto contrasto con lo spettacolo inaugurale della sera precedente, incardinato invece nell’alveo rassicurante della solida e buona routine.


A condizionare l’intera impostazione dello spettacolo è certamente stata la dimensione assai ridotta dello spazio scenico e della buca, che hanno reso ineludibile la necessità di pensare una realizzazione dell’opera che fosse ad essa appositamente dimensionata, sia scenicamente, sia musicalmente. Un rebus, quello ora evidenziato, che, nell’occasione di questo Ballo, ha trovato una felice soluzione grazie al talento, in alcuni casi magari ancora acerbo, in altri casi già emergente, degli artisti che vi hanno preso parte e che anzi si è tradotto in elemento di interessante scoperta, laddove ha consentito di cimentarsi con l’impegnativa partitura verdiana a cantanti che, sebbene in alcuni casi già affermati, non avrebbero avuto una pari possibilità di un diverso contesto teatrale.

 

Un caso emblematico è stato quello del tenore Giovanni Sala, che ha vestito i panni di Riccardo, il quale è riuscito a dar corpo ad un personaggio ben chiaramente definito, offrendo una prestazione artistica assai apprezzabile, che forse non gli sarebbe stata possibile, quantomeno con pari esito, al di fuori del raccolto contesto bussetano, sebbene egli disponga di una voce gradevole e ottimamente gestita sul piano tecnico.  La sua interpretazione è apparsa sempre adeguata e la sua presenza scenica molto partecipe. Ottime sono state anche le arie, eseguite con grande pulizia e controllo del mezzo vocale.

 

Al suo fianco si è esibita la meno affermata soprano Caterina Marchesini, che si è fatta apprezzare per una presenza scenica sempre adeguata, per il buon timbro della voce e per l’emissione facile, in ciò certamente aiutata dalla ridotta dimensione del teatro. La sua limitata esperienza non le permette però ancora di tratteggiare un modo completo e profondo tutte le sfumature del personaggio di Amelia, che, alla fine, è risultato un poco sfocato e generico, anche se comunque apprezzabile.  

 

Ottimo è stato anche il Renato di Lodovico Filippo Ravizza, che ha sfoggiato una voce potente, scura ed intonata. Ha affrontato con serietà la sua prima aria "Alla vita che t'arride", mettendo in mostra un pregevole controllo della voce, una stabilità dell'emissione e una sicura intonazione. Assai impegnata è stata anche la sua interpretazione dell’aria "Eri tu che macchiavi" cantata molto bene. Vi è da attendersi che Ravizza, progredendo nel suo promettente percorso artistico, affini ancor più il suo canto morbido e nobile, così da poter ancor meglio restituire la complessità psicologica di molti personaggi baritonali verdiani, che troppo spesso, ancor oggi, vengono rappresentati come dei cattivi di maniera. 

 

Eccellente è stata inoltre la prestazione del mezzosoprano Danbi Lee, che ha impersonato con grande austerità e con una voce imponente il personaggio di Ulrica. Ai saluti finali, è stata colei che il pubblico ha mostrato di aver maggiormente apprezzato.

 

Parimenti ottima è stata infine la prestazione del soprano Licia Piermatteo nel personaggio del paggio Oscar, che in questa rappresentazione ha vestito panni dichiaratamente femminili. La Piermatteo ha mostrato agilità vocale, ottima intonazione e un'interpretazione dinamica e allegra. La voce, seppur non imponente, è sempre stata bella e la sua emissione curata.

 

Efficaci sono stati anche i due congiurati Samuel e Tom, rispettivamente Agostino Subacchi e Lorenzo Barbieri, che si sono distinti per le loro voci sicure, oltre che per una attiva presenza scenica.


Hanno ben completato il cast Giuseppe Todisco (Silvano) e Francesco Congiu (Un giudice/Un servo d'Amelia).

 

La direzione d'orchestra, affidata alla bacchetta del maestro Fabio Biondi, ha saputo scandire su tempi talvolta comodi, talvolta più rapidi, una partitura tutt'altro che facile, ma che è stata resa, nella sua semplicità, in modo meritoriamente efficace ed interessante. Il maestro Biondi è stato a capo dell'Orchestra Giovanile Italiana, formata da giovani artisti di talento, che ha suonato decisamente bene, soprattutto considerando che alcune screziature del suono sono state dovute ad un numero molto ristretto di orchestrali. Il maestro Biondi ha inoltre mantenuto il suono compatto e ben bilanciato, contribuendo ad un eccellente supporto musicale per il palcoscenico.

 

Ottima è stata anche la piccola (per esigenze di teatro) compagine del Coro del Teatro Regio di Parma, preparato sempre benissimo dal maestro Martino Faggiani.

 

Vi è stata infine la regia di Daniele Menghini, il cui tratto registico aveva destato perplessità nell’edizione dell’Elisir d’Amore andata in scena al Teatro Regio di Parma nella scorsa stagione lirica, ma che in questo caso è risultato maggiormente convincente, producendo un esito assai apprezzabile. Può essere vero che le idee elaborate non hanno il pregio della novità, come è ad esempio il caso della trasgressiva ambiguità del personaggio di Riccardo, ma è anche vero, per contro, che tali idee sono state realizzate, nel minuscolo spazio scenico di Busseto, con l’uso fresco e talentuoso di pochi, ma efficaci, elementi scenici, che ha consentito comunque di offrire al pubblico una convincente e non fuorviante contestualizzazione della partitura verdiana, con un misurato accesso alla provocazione, ma mai alla volgarità. E’ il caso, ad esempio, del mutevole trono di Riccardo, che si trasforma in antro e in abisso, attuando una soluzione scenica, che non soltanto è stata appropriata per lo spazio disponibile, ma che è anche simbolicamente intonata con il contrasto tra la dimensione pubblica e quella privata dei suoi personaggi, spesso declinata dal maestro Verdi. Come è il caso della trasformazione di Riccardo, che dismette le sue vesti ambigue, indossando lo smoking, nella grande aria dell’ultimo atto, in cui, confrontandosi con la sua solitudine, non può celare, né la sua posizione pubblica di soggetto istituzionalmente incardinato nel sistema e nel potere, né la sua umana vulnerabilità ai sentimenti. Il tutto in un’ambientazione gotica, quasi in tema Halloween, con tinte da cinema d’autore, a tratteggiare, con i simboli e con i costumi, la netta distinzione tra il mondo ribelle e anticonvenzionale, a cavallo del quale si muove ambiguamente il personaggio di Riccardo, e quello opposto, in cui si muovono i cortigiani e Renato, connesso al primo dall’azione sotterranea dei sentimenti, dall’amore, vissuto idealmente e piegato al dovere e alla lealtà, all’amicizia, mai tradita, ma inquinata dalla gelosia.

 

In sintesi, quindi, una versione mignon de Un Ballo in Maschera, che ha saputo divertire e convincere, grazie a un cast vocale pregevole, un'ottima presenza orchestrale ed un'interessante regia.

 


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