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Lorenzo Giovati

Tosca • Oren

Parma, Teatro Regio. 17 Maggio 2024

 

Appena festeggiati i suoi 195 anni, il Teatro Regio ha proposto l'ultimo appuntamento della sua stagione lirica. Dopo Il Barbiere di Siviglia e L'Elisir d'Amore, anche il teatro parmigiano non poteva mancare alle celebrazioni per il centenario dalla morte di Giacomo Puccini e per farlo ha scelto una delle sue opere più belle: Tosca.


A questa prima rappresentazione, per il vero, il Teatro è giunto attraverso un percorso tormentato, avendo dovuto registrare la defezione, sia della soprano designata Anastasia Bartoli, sia del tenore parimenti scelto Brian Jagde, per sopravvenuti contrattempi di salute, che hanno generato non pochi ostacoli alla regolarità delle prove. Tanto che, in occasione dell’antigenerale per i giovani e della prova generale, l’impressione artistica lasciata è stata interlocutoria. A tali difficoltà, la direzione del Teatro ha però fatto fronte molto bene, compiendo una scelta, che si è alla fine rivelata saggia, e per questo premiante, di ricorrere, in temporanea sostituzione dei titolari, ad artisti di consumata esperienza e di sicuro mestiere, in grado di assicurare allo spettacolo, in un momento delicato, uno standard artistico solido. E così è stato. Ne è scaturita una recita che, nel suo insieme, ha indubbiamente regalato al pubblico, che infatti ha ricambiato con un successo entusiastico, la piacevolezza dell’ascolto di una creazione musicale la cui infinita bellezza costituisce ogni volta una scoperta, ma che, in realtà, è parsa poco sensibile all’approfondimento dei dettagli e, semmai, piuttosto incline alla genericità emotiva e vocale e alla ricerca dell’effetto teatrale. Con eccezione del maestro Oren, che, dimenandosi come è da sempre nel suo stile direttoriale, per indirizzare un complesso orchestrale che non sempre è sembrato rispondergli, ha tentato di imprimere alla musica un vero senso pucciniano, cercando di rendere la straordinaria ricchezza della tavolozza timbrica ed emotiva dell’opera.  


La protagonista Maria José Siri ha offerto una prestazione artistica in linea con l’impostazione generale. Ha sfoggiato  una linea di canto sorvegliata, un fraseggio buono e un'intonazione sicura, ma è risultata, nel contempo, carente di vero trasporto emotivo e non totalmente in grado di restituire, nella loro complessità, le sfaccettature psicologiche del personaggio. Nel secondo atto, in particolar modo, ma anche nel primo, la caratura drammatica di Tosca, che è consegnata totalmente al canto e alla parola scenica, anche recitata, non solo cantata, è parsa diluita, con conseguente indebolimento anche della tensione che caratterizza, in modo impareggiabile, soprattutto la parte centrale del dramma. L'aria di punta del secondo atto, "Vissi d'arte", è stata forse la pagina che ha maggiormente offerto alla soprano l’occasione di affacciarsi oltre l’esecuzione, per esplorare il terreno dell’interpretazione, seppur senza approdare a grandi emozioni.


Non dissimile è stata la prestazione del tenore Fabio Sartori, che di recente ha vestito, con buoni esiti, i panni di Canio in "Pagliacci" al Teatro alla Scala. Il suo è stato quindi un Cavaradossi vocalmente solido, basato essenzialmente su un bel timbro e su una linea di canto apprezzabile. Per contro, il suo è stato però anche un Cavaradossi emotivamente poco variato, in ragione di un canto che non ha esplorato le pieghe più intime del personaggio, ma che è parso sostanzialmente ad unica voce, nonostante il profondo variare delle situazioni che il personaggio stesso è chiamato a vivere e dei sentimenti che è chiamato a esprimere, dall’amore per Tosca, all’adesione patriottica verso Angelotti, all’avversione umana e politica verso Scarpia. Così è stato dall’esordio in “Recondita Armonia”, in cui Sartori ha puntato, in sicurezza, sulla franchezza della sua emissione, ma in cui mai è parso cercare i toni più raccolti di un’aria che, non solo è cantata in chiesa, ma che è anche tendenzialmente intima, all’aria finale “E lucean le stelle”, che comunque gli è valsa l’ovazione del pubblico e la richiesta di bis, generosamente esaudita. 


Discorso diverso vale invece per il baritono parmigiano Luca Salsi, che ha dato voce e corpo scenico al personaggio del Barone Scarpia. La sua interpretazione è giustamente apprezzata a livello internazionale, tant'è che il baritono parmigiano ha interpretato questo ruolo anche al Teatro alla Scala, in occasione di un 7 dicembre. Salsi, anche in questa occasione, si è confermato uno Scarpia di primissimo livello, riuscendone a delineare l’intimità malvagia, senza però mai sconfinare nella rozzezza, nell’accento verista, o nel portamento volgare. Il suo, considerata l’impostazione vocale, è forse uno Scarpia più vicino all’archetipo di Gobbi, che non a quello di Bruson, e, dunque, uno Scarpia più manifestamente “cattivo” che ipocritamente nobile e mellifluo, ma certamente è uno Scarpia completo e pienamente convincente, oltre che vocalmente ineccepibile.       


Nei ruoli minori si sono fatti particolarmente apprezzare il Sagrestano, interpretato da Roberto Abbondanza, Angelotti interpretato da Luciano Leoni, ma soprattutto il pastorello eseguito da Sofia Bucaram. Non particolarmente di rilievo sono state le performances di Marcello Nardis (Spoletta) e Eugenio Maria Degiacomi (Sciarrone).


Il coro del Teatro Regio di Parma, preparato dal maestro Martino Faggiani, seppur relegato in quest’opera ad una parte molto breve, si è riconfermato una solidissima certezza, che con il suo suono pieno e compatto ha entusiasmato il pubblico nella meravigliosa scena del Te Deum. Ottimo è stato anche il coro delle Voci Bianche del Teatro Regio, preparato dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina.


Del maestro Oren, che ha eseguito quest'opera numerose volte, diventandone un esperto riconosciuto internazionalmente, dall'Arena di Verona alla Royal Opera House di Londra, si è in parte già scritto. Il direttore israeliano è stato sicuramente alla base della buona riuscita dello spettacolo. I limiti vocali sono infatti stati spesso compensati dalla sua interpretazione ricercata, non banale, che lo riconferma una figura direttoriale di spicco in questo repertorio.


La Filarmonica Arturo Toscanini, grazie sicuramente anche al grande lavoro che il maestro Oren ha intrapreso sull'orchestra, ha suonato in modo apprezzabile, pur non avendo superato alcuni punti di debolezza che emergono ormai ad ogni performance, soprattutto legati ad un problema generalizzato di velluto sonoro.

 

Il giudizio del pubblico è stato comunque entusiastico, soprattutto per Salsi e Sartori.

 


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