Rachmaninov e Mahler • Honeck
- Lorenzo Giovati
- 26 ago 2024
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Salisburgo, Großes Festspielhaus. 22 Agosto 2024.
Ad un solo giorno di distanza dal concerto che ha visto protagonista l’orchestra filarmonica della capitale Norvegese, l’attenzione del Festival di Salisburgo si è rivolta verso l’orchestra sinfonica di Pittsburgh, che è ritornata, dopo un anno di assenza sul palco della Großes Festspielhaus, insieme al proprio storico direttore stabile Manfred Honeck, che ricopre questo incarico dalla stagione 2008-2009. Insieme al direttore austriaco, la medesima orchestra era già comparsa in cartellone nell’edizione 2022 (recupero del concerto previsto per lo sfortunato festival del 2020) con un programma che spaziava da Ligeti a Beethoven per approdare alla prima sinfonia di Mahler.
Nella prima parte del concerto, il maestro Honeck è stato affiancato dal celebre pianista Yefim Bronfman per l’esecuzione del Terzo Concerto per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov, un'opera di straordinarie complessità tecnica e intensità espressiva. Nel primo movimento, Honeck ha scelto un tempo decisamente dinamico, che, nella sua rapidità, si è rivelato efficace permantenere l’energia e l’impeto del brano. Questa scelta non ha minimamente scalfito la sicurezza di Bronfman, il quale ha affrontato la sfida con una grande maestria, dimostrando una rapidità e una precisione che hanno sfiorano l’immaginabile, particolarmente evidenti nella cadenza, dove ha messo in mostra una potenza travolgente e un controllo impeccabile. Honeck e Bronfman sono riusciti a bilanciare l’impeto tecnico con raffinatezze interpretative, creando contrasti suggestivi, alternando momenti di grande intensità a passaggi di più delicata introspezione.
Il secondo movimento ha brillato per un equilibrio perfetto tra i vellutati interventi orchestrali e i tocchi più marcati del pianoforte, in un dialogo costante tra solista e orchestra. Honeck ha saputo esaltare le sfumature timbriche, sostenuto perfettamente dall’orchestra, che ha accompagnato con leggerezza ed eleganza il solista.
Senza soluzione di continuità, il terzo movimento è esploso con un tempo brillante, scandito con precisione da Honeck e Bronfman. La velocità sostenuta e la liricità di alcuni passaggi centrali hanno mantenuto alta la tensione fino alla conclusione, dove virtuosismo e espressività si sono fusi in un finale di straordinario impatto. L’orchestra e il pianoforte, in perfetta sintonia, hanno dato vita a un’esecuzione memorabile, coronata da un’esplosione di applausi da parte del pubblico, che ha riconosciuto nell’interpretazione un momento di eccelso livello.
Dopo l’intervallo, l’orchestra e il maestro Honeck sono tornati sul palco per l’esecuzione della Sinfonia n. 5 in Do diesis minore di Gustav Mahler, un'opera imponente e complessa che, sotto la direzione di Manfred Honeck, ha rivelato tutta la sua ricchezza emotiva e strutturale. Honeck, con la sua profonda comprensione della musica mahleriana, maturata in anni di frequentazione, ha saputo equilibrare l’energia esplosiva di alcuni momenti con un’introspezione delicata, offrendo una lettura pienamente convincente e riflessiva dell'opera. Da segnalare che il maestro Honeck ha osservato pause più lunghe, non alla fine di ogni movimento, bensì alla fine di ognuna delle tre parti più ampie in cui l’opera è suddivisa (la prima, dopo il secondo movimento, la seconda, dopo il terzo, e la terza, dopo il quinto).
Dalle prime battute della Trauermarsch, Honeck ha subito impresso alla sinfonia un carattere incisivo e denso, con un controllo impeccabile della dinamica e delle tensioni. Il celebre tema funebre, con la sua solennità, non è mai scivolato in un’ossessività opprimente, grazie alla capacità del direttore di lasciare spazio ai dettagli orchestrali. Questa capacità di bilanciare momenti di grande intensità con altri di estrema finezza si è rivelata fondamentale per mantenere il respiro della sinfonia lungo i suoi cinque movimenti.
Nel secondo movimento, forse uno dei più tormentati dell'intera opera, Honeck ha saputo gestire la complessità dei contrasti, tra esplosioni orchestrali e improvvisi affievolimenti, con una tensione che è rimasta costantemente palpabile, ma mai esasperata.
Nel terzo movimento, lo Scherzo, Honeck ha poi saputo catturare la giocosità e la vitalità rustica che contraddistinguono questa sezione, pur mantenendo un controllo rigoroso della struttura e delle intricazioni polifoniche. Il ruolo cruciale del corno, che emerge come protagonista in questo movimento, è stato reso con maestria grazie a una prestazione eccezionale del primo corno, capace di dare suono alle tormentate espressioni mahleriane con una sonorità ampia, nobile e insieme dolente.
Menzione particolare va al quarto movimento, il celeberrimo Adagietto, in cui Honeck ha trovato un equilibrio tra il lirismo struggente e un’introspezione controllata. Il rischio di scadere in un sentimentalismo eccessivo è sempre in agguato, ma la scelta di tempi dilatati ha permesso una lettura autenticamente emozionale. L’Adagietto, con la sua trasparenza e il suo sospeso lirismo, è stato quindi un momento di grande e intensa emotività.
Il quinto movimento, infine, con la sua luminosità e il suo slancio, ha visto Honeck sfoderare un'esuberanza contenuta, in grado di liberare energia, senza mai perdere il controllo formale e la lucidità delle linee. La sua direzione ha saputo valorizzare l’architettura grandiosa della sinfonia, con un finale che ha portato il pubblico a un'esperienza di ascolto incredibilmente potente.
L’interpretazione, offerta dal maestro Honeck, della Quinta di Mahler si è quindi distinta per la sua capacità di rendere con energia, alcune volte quasi esplosiva, la partitura mahleriana senza però renderla mai nervosa, né eccessiva, né infine piatta.
Certamente il maestro Honeck ha trovato nella Pittsburgh Symphony Orchestra uno strumento perfetto per la realizzazione della sua idea di sinfonia. Il suono orchestrale è sempre stato tagliente ed estremamente brillante, anche se non sono mancati momenti più accentuata morbidezza. Il complesso orchestrale ha poi messo in mostra una coesione, tra le varie sezioni, ed un virtuosismo degno di una grande orchestra.
Dopo un paio di uscite sul palco, per ricevere le meritatissime ovazioni, il maestro Honeck ha, in conclusione, omaggiato il pubblico alzatosi in piedi, con l’esecuzione dell’ultimo valzer dalla Suite del Der Rosenkavalier di Richard Strauss. Ciò ha reso ancor più prolungata e meritata la standing-ovation.