Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. 12 Maggio 2024.
Nel 1968, un giovanissimo direttore d'orchestra, fresco dalla vincita del premio Guido Cantelli, veniva nominato direttore principale del Maggio Musicale Fiorentino e lo sarebbe rimasto fino al 1980. Quel direttore era il maestro Riccardo Muti, allora appena ventottenne. Oggi, sebbene le cifre del numero 28 si siano invertite in 82, la considerazione del pubblico fiorentino per il maestro non è affatto cambiata. Anzi. E ciò per il percorso artistico fulgido che il maestro ha tracciato da allora ad oggi. Domenica scorsa, infatti, una sala grande completamente sold out, (quindi circa 1900 persone) ha accolto il ritorno del direttore napoletano con un'atmosfera festosa. Il maestro Muti, reduce dalle celebrazioni per il bicentenario della Nona Sinfonia di Beethoven al Musikverein di Vienna e da un concerto al Ravenna Festival, è quindi arrivato a Firenze con i Wiener Philharmoniker, con cui rinnova ormai annualmente una collaborazione che dura da oltre 50 anni.
E quello che, insieme all’orchestra viennese, ha offerto è stato davvero un concerto magnifico.
In programma vi erano due capolavori sinfonici che il maestro Muti ha già eseguito più volte (e inciso) con la stessa orchestra viennese, ovvero la sinfonia n. 35 di Mozart (detta "Haffner") e la sinfonia n.9 di Schubert (detta "La Grande").
La concezione che il maestro Muti ha proposto del suo rinomato Mozart sembra essere maturata con il passare del tempo. Rispetto alle incisioni discografiche di vari anni or sono, in cui le dinamiche tipiche mozartiane sono messe perfettamente in risalto dal suo talentuoso vigore giovanile, il Mozart proposto domenica a Firenze è apparso più senile, maggiormente scavato e, in alcuni punti, marcatamente riflessivo (come nel secondo movimento). I tempi, non più sincopati, ma ora tendenzialmente dilatati, a disegnare un respiro melodico che è apparso certo, al di là del gusto e delle tendenze, e le dinamiche orchestrali elegantissime, hanno conferito un senso di estrema, ma mai banale, classicità all'esecuzione, impreziosita in qualche passaggio da alcuni accenti davvero unici dei violini (soprattutto nel terzo movimento). Nel quarto movimento i tempi sono stati felicissimi e il maestro Muti ha mantenuto gli archi serratissimi e perfettamente compatti. I timpani sono stati profondi, ma non invasivi, così come le trombe. L'esito è stato quello di una sinfonia molto proiettata in una visione intima, ma comunque ben variegata nei colori e nelle dinamiche.
La seconda parte del concerto è stata invece dedicata a Franz Schubert, il compositore viennese per eccellenza, che nel comporre la sua nona sinfonia, non si è risparmiato nel caricare la partitura di suoni densi e corposi. Nella mia ancor breve esperienza di appassionato, mi è capitato di assistere dal vivo solo a due esecuzioni della sinfonia 9 di Schubert: la prima diretta da Kirill Petrenko al Festival di Salisburgo, la seconda è quella fiorentina, di qualche giorno fa. Ho trovato le due interpretazioni completamente agli antipodi. Come il maestro Petrenko ha prediletto un suono orchestrale asciutto e un dinamica serratissima, quasi nervosa, per alleggerire l’architettura sinfonica, così il maestro Muti ha invece rallentato i tempi, in alcuni passaggi, accentuando la presenza degli archi e cercando un respiro melodico più romantico, anche se sempre luminoso. Questa scelta era già stata effettuata dal maestro Muti anche nella sua incisione discografica e nella sua registrazione video dal Teatro alla Scala di Milano (reperibile su YouTube), ma con lo stacco di tempi più stretti. In alcuni passaggi del primo movimento, l'esecuzione ha alternato spesso momenti più misteriosi, ad altri più trionfali e solari, restituendo comunque un senso di perenne evoluzione melodica, che è poi confluita in un finale impetuoso e maestoso. Nel secondo movimento e nel terzo movimento sono sempre state presenti dinamiche appropriatamente variegate, sia nei momenti più leggeri, che in quelli più intensi. Il quarto movimento è invece stato molto diverso da quello dell'incisione discografica. Il maestro, che un tempo prediligeva alcuni rallentandi (subito all'inizio e nella coda del movimento), ha scelto un'interpretazione molto più immediata e fresca. La carica di tensione di tutta l'esecuzione è stata eccellente. Il maestro Muti si è quindi riconfermato, non solo ancora un grande interprete che non ripropone mai idee del passato, ma che cerca sempre, tramite uno studio perenne, nuovi spunti, ma anche un grande conoscitore della musica di Schubert, a tal punto da saperne delineare una nuova interpretazione introspettiva.
L'orchestra Filarmonica di Vienna è stata impeccabile, come di consueto. Gli archi sono sempre stati precisi e in perfetta simbiosi, sia in Mozart, sia in Schubert. L'assolo del corno che ha aperto la seconda parte del concerto è stato mirabile. In generale tutta l'orchestra è stata all’altezza, raggiungendo picchi di qualità sonora, tecnica e interpretativa facilmente definibili come la"perfezione".
Al termine del concerto, dopo brevi parole (che ormai il pubblico attende come se fossero un bis), in cui ha rievocato affettuosamente i bei tempi fiorentini andati, il maestro ha concesso come bis il Kaiser Walzer di Johann Strauss II. Ed è stato il trionfo.
La collaborazione del maestro Muti con i Wiener Philharmoniker continuerà al prossimo Festival di Salisburgo e nel prossimo Concerto di Capodanno 2025.