Mozart e Beethoven • Vincent
- Lorenzo Giovati
- 6 giorni fa
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Parma, Auditorium Paganini. 5 Aprile 2025.
"Sublime" e "Travolgente" sono i due aggettivi scelti dalla Filarmonica Arturo Toscanini di Parma come titolo del concerto di sabato sera, attribuiti a due indiscutibili capolavori orchestrali: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 21 di Wolfgang Amadeus Mozart, probabilmente il più celebre e amato del catalogo mozartiano, e la Sinfonia n. 7 di Ludwig van Beethoven, spesso definita "la piccola Eroica" per la sua energia propulsiva e i suoi richiami bellici, l’allegretto dal tono funebre e un finale di esaltante trionfo. Sul podio è salito il giovane e già carismatico maestro Josep Vincent.
Il Concerto per pianoforte ha visto invece come solista il maestro Fazil Say, pianista di fama e straordinario improvvisatore, qualità emersa in modo particolare nelle cadenze dei primi due movimenti: estesa e ricca di invenzione quella iniziale, più compatta, ma ugualmente personale quella del terzo. Say ha esibito una grande padronanza tecnica e una pregevole sicurezza interpretativa, scegliendo però un approccio acceso e teatrale, talvolta a scapito della morbidezza e dell’eleganza che ci si aspetterebbe dal classicismo mozartiano. Questo taglio interpretativo è apparso più marcato nel secondo e nel terzo movimento, dove si sono notate anche alcune leggere incertezze nella gestione della partitura. Nonostante ciò, la performance è rimasta di alto livello, pur senza mettere pienamente in luce la raffinatezza più intima e cameristica che il pianismo mozartiano può offrire. Dal lato direttoriale, la lettura del maestro Vincent si è distinta per coerenza e per misura: un Mozart vivace, ben sostenuto nei tempi, ma mai eccessivo. Tuttavia, è mancata una reale esplorazione delle sfumature più delicate della scrittura, specie nell’incipit del primo movimento e lungo l’intero secondo tempo. Questa mancanza di varietà dinamica non è forse da attribuire esclusivamente al direttore: Vincent ha mostrato gesto chiaro e intenzione precisa, ma l’orchestra, in particolare le sezioni dei violini e dei fiati, non è sempre riuscita a trovare una corretta via di mezzo tra piano e forte.
Al termine dell’esecuzione, Say ha concesso un bis, purtroppo disturbato dall’ingresso tardivo di una parte del pubblico (in ritardo per il traffico post-partita), che è stata fatta accomodare dal personale di sala inspiegabilmente proprio a pochi minuti dall’intervallo. Il brano proposto, di scrittura moderna e dal colore mediorientale, ha visto Say esplorare possibilità timbriche inusuali del pianoforte, pervenendo a due sonorità distinte: quella convenzionale e un effetto percussivo ottenuto bloccando le corde con la mano sinistra, mentre i martelletti agivano, generando un suono ovattato, vicino a quello di uno xilofono o di una marimba. Un momento di grande originalità e virtuosismo.
La seconda parte del concerto ha visto il ritorno sul palco del maestro Vincent, questa volta senza spartito e senza podio, per dirigere la Settima di Beethoven. È l’unica sinfonia, oltre alla Terza, che si apre con un colpo d’orchestra netto, quasi uno sparo, che ha reso da subito chiara la scelta di una lettura impetuosa e vibrante. Il maestro ha spinto con energia, talvolta fino al limite dell’eccesso, in particolare nel quarto movimento, dove l'impressione che l'equilibrio orchestrale potesse rompersi da un momento all'altro è stata tangibile, senza però, grazie al cielo, che ciò accadesse. Questa spinta continua ha però compromesso la ricerca di un suono più levigato e cesellato: l’orchestra è apparsa talvolta ruvida, con una sezione dei corni spinta al massimo delle possibilità sonore, a scapito dell'eleganza complessiva. Il risultato è stata una lettura, specie nel primo e nell’ultimo movimento, più roboante, che viennese, più muscolare, che aggraziata. Tuttavia, va riconosciuto al maestro Vincent il merito di aver saputodistinguere chiaramente energia e velocità, senza cedere all’equazione, tanto comune, quanto discutibile, per cui un’esecuzione energica debba necessariamente essere accelerata. Emblematico è stato il secondo movimento, non lento come quello reso celebre da Furtwängler, ma comunque sostenuto su un tempo più ampio rispetto a molte versioni odierne. Il terzo movimento, un vivace dal sapore danzante, è stato invece uno dei momenti più riusciti, ben bilanciato e ritmicamente preciso.
In definitiva, al di là di alcune scelte timbriche e dinamiche opinabili, l’esecuzione ha mostrato una chiara visione interpretativa, perseguita con coerenza fino alla fine. Il pubblico ha salutato l’intera serata con calorosi applausi.