Salisburgo, Großer Festspielhaus. 29 Marzo 2024.
Dal 1967, quando fu fondato da Herbert von Karajan, il Festival di Pasqua di Salisburgo propone una settimana fitta di eventi musicali di altissimo livello. Dopo un susseguirsi di vicende travagliate, da pochi anni a questa parte, il Festival ha radicato la prassi di ospitare un direttore e/o un'orchestra a cui affidarne la realizzazione. Quest'anno, per la prima volta, la scelta dell'orchestra ospite, compiuta dagli organizzatori, è caduta sulla "nostra" Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la quale ha così ricevuto l’ambito riconoscimento internazionale, pienamente meritato, di miglior complesso orchestrale nazionale.
L’impegno dei complessi romani prevedeva, oltre alla rappresentazione della Gioconda di Amilcare Ponchielli, con un cast stellare, e a due concerti sinfonici, affidati al maestro Antonio Pappano e al maestro Jakub Hrusa, anche l’esecuzione della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, la cui seconda e ultima recita ha coinciso con il Venerdì Santo. E scelta migliore non si poteva fare per sottolineare la ricorrenza religiosa con la laica e terrena spiritualità del Requiem verdiano a 150 anni dalla sua prima rappresentazione.
Sul podio, a dirigere l’orchestra e il coro, anche in questo caso è salito il maestro Pappano, che già, nello scorso mese di febbraio, aveva diretto questa partitura a Roma, dedicandone l’esecuzione alla memoria del maestro Claudio Abbado, e che, a Salisburgo, ha ripetuto l’esecuzione, rivolgendola, questa volta, alla memoria del maestro Seiji Ozawa, recentemente scomparso. Per questo motivo, prima dell’inizio del concerto, una voce narrante è salita sul palco per pronunciare, nel silenzio generale, pochissime parole, molto teatrali, in sua memoria.
Ha preso poi corpo l’esecuzione della Messa verdiana, la quale, nel suo complesso, ha offerto al pubblico, soprattutto nella sua componente orchestrale e corale, un livello artistico che non è improprio definire memorabile.
Rispetto all’esecuzione romana, a cui avevo assistito nel febbraio scorso e la cui recensione è reperibile cliccando qui, la direzione del Maestro Pappano, che già comunque era stata ragguardevolissima, è parsa ancora migliorata, come se il susseguirsi delle rappresentazioni gli avesse permesso di mettere sempre meglio a punto dinamiche e volumi orchestrali, fino a raggiungere un assieme quasi perfetto, come è quello che si è apprezzato l’altra sera. Il Dies Irae, ad esempio, che a Roma era stato un poco nervoso, scandito con colpi di grancassa talmente asciutti e ravvicinati da sembrare quasi frenetici, è apparso terrificante, come deve esserlo il Giudizio rispetto alla fragilità umana, ma anche caratterizzato ad un respiro più ampio e più profondo, che ha consentito di apprezzare come meglio non si sarebbe potuto il meraviglioso contrasto con i silenzi attoniti del successivo Mors Stupebit, cantato benissimo da Michele Pertusi. Non meno coinvolgente, ma l’elenco dei momenti magici potrebbe essere lungo, è stato anche il Tuba Mirum, che ha creato un meraviglioso effetto sonoro grazie alle quattro trombe posizionate nella balconata superiore, un poco come si assiste in alcun esecuzioni dell’ottava sinfonia di Mahler. La direzione del maestro Pappano, che qualche sommessa riserva aveva destato dopo l’esecuzione romana, è dunque salita di livello rispetto allo spettacolo romano, offrendo una qualità interpretativa che oggi è quasi impossibile superare.
Il cast, come era ovvio, è stato complessivamente all’altezza di una serata da ricordare.
La soprano sudafricana Masabane Cecilia Rangwanasha, che già aveva partecipato alle rappresentazioni romane, è anch’essa apparsa notevolmente migliorata. Il suo strumento vocale è potente, il timbro è morbido in quasi tutti i settori e luminoso, la tecnica è ragguardevole, tanto da permetterle di modulare con proprietà anche nei passaggi più impervi. Permangono forse alcune fragilità di intonazione, che nelle recite romane si erano manifestate più frequentemente, ma che ,nella recita salisburghese, sono invece emerse solo nella difficilissima chiusa del Libera me Domine, a dimostrazione di una progressiva ricerca di miglioramento da parte dell’artista. È stato però magnifico il suo Recordare, eseguito in perfetta simbiosi con il mezzosoprano Judit Kutasi. Entrambe sono state molto precise nel registro acuto e altrettanto profonde in quello grave.
La mezzosoprano Judit Kutasi dispone di una voce calda e potente, oltre che sempre intonata. Non di rado però ha avuto qualche lieve difficoltà nell'alleggerire la voce nei passaggi più raccolti. È stata comunque, nell’insieme, molto brava.
Il tenore Luciano Ganci, chiamato all’impervio compito di sostituire Jonas Kaufmann, in origine nel cast, ha offerto una prestazione eccellente, soprattutto dal punto di vista interpretativo, mostrando grande professionalità nel cogliere la parte introspettiva del ruolo tenorile della Messa. Vocalmente non è stato sempre cristallino, in particolar modo nell'Ingemisco, anche se la sua intonazione è risultata sempre estremamente accurata. È certamente, al tempo di oggi, uno dei migliori interpreti del ruolo.
Ultimo, ma non ultimo, il bravissimo Michele Pertusi. Il basso parmigiano (mi piace sempre sottolinearlo per un certo orgoglio cittadino) è stato come al solito eccellente, sia vocalmente, sia interpretativamente, comprovando la sua grande esperienza, la sua professionalità e la sua matura sensibilità artistica. Forse, ad onta del suo mezzo vocale bello e morbido, ma certamente non potentissimo, è stato il migliore del cast.
Semplicemente magnifiche sono state le masse orchestrali dell'Accademia di Santa Cecilia. Gli archi vivaci e dinamici, insieme ad una sezione dei fiati molto brillante e ad una sezione di ottoni di qualità eccezionale, fanno di questa orchestra una grande eccellenza italiana. Forse una delle poche, se non l'unica, orchestra nazionale in grado di competere alla pari con le grandi orchestre europee e mondiali. E la chiamata salisburghese al Festival di Pasqua, che da anni era territorio di primarie orchestre tedesche o austriache, ne è la prova.
Le masse corali, formate dal coro dell'Accademia e dal Bachchor Salzburg, sono state anch’esse eccellenti, sia nei momenti di maggiore coinvolgimento (Dies Irae, Tuba Mirum, Sanctus, Libera me Domine), sia in quelli di maggiore raccoglimento o di sussurrato turbamento (Quantus tremor est futurus, per esempio). Una nota di grande merito va quindi ai due maestri del coro Andrea Secchi (per il coro dell'Accademia) e Michael Schneider (per il coro salisburghese).
Per concludere, una Messa da Requiem che vede trionfare l'Italia (dal compositore, all'orchestra, dalla componente maschile dei solisti, al maestro Pappano se consideriamo le sue origini italiane) e che ha unito la profonda spiritualità della partitura alla straordinaria maestria tecnica di tutti gli esecutori. Da ricordare.
La prima esecuzione del 25 marzo è stata trasmessa in differita dalla radio austriaca ö1.