Parma, Teatro Regio. 19 Ottobre 2024.
La Messa da Requiem di Verdi è diventata per il programma del Festival Verdi, dall'edizione "en plein air" del 2020, una presenza, non solo ricorrente, ma anche sempre assai apprezzata dal pubblico, trattandosi di un capolavoro assoluto, che riesce a sorprendere l'ascoltatore ad ogni approccio. Al maestro Roberto Abbado, che firmò la direzione dell’edizione 2020, si sono poi avvicendati sul podio altri qualificati direttori (Daniele Gatti, Michele Mariotti, Oksana Lyniv), ognuno per offrire la propria personale lettura della partitura verdiana, con esiti alterni, ma sempre interessanti (molto significativa, in particolare, è stata la direzione del maestro Gatti nel Festival 2021, che ha lasciato un ricordo è ancora vivo nella memoria di chi vi assistette).
Quest'anno la parte orchestrale della Messa è stata affidata al maestro statunitense James Conlon, a cui sono spettati anche l’onere e l’onore di concludere un’edizione del Festival indubbiamente molto riuscita, perché caratterizzata, sia da una programmazione estremamente interessante, sia dalla qualificata caratura artistica delle varie proposte, a cui il pubblico ha risposto assai positivamente. Tale livello, però, non è purtroppo pienamente emersa in questo appuntamento conclusivo della rassegna, all’interno di un’esecuzione sorvegliata e diligente, ma limitatamente caratterizzata e, per questo, vagamente anonima.
Non è stata estranea a tale esito la lettura del maestro Conlon, la quale, nel rimanere legata strettamente ad un paradigma esecutivo molto tradizionale, ha privilegiato un’esecuzione corretta dal punto di vista della tecnica, mantenendo una ben percettibile compostezza formale, ma ha penalizzato la ricchezza emotiva della partitura, mancando di rimarcare adeguatamente gli affascinanti e coinvolgenti elementi di cui si compone la spiritualità laica dell’opera, dalla supplica, al terrore per il giudizio divino, fino a culminare nello sgomento per l’inquietudine rispetto ad un mistero non pienamente risolto dalla fede. Se da un lato, quindi, il rigore direttoriale ha garantito una certa chiarezza esecutiva, dall’altro ha però lasciato poco spazio a quel senso di profondità emotiva che il Requiem imprescindibilmente richiede, con l’esito che l’esecuzione non è riuscita a trasmettere, non soltanto particolari momenti di brivido, ma nemmeno alcun sprazzo di coinvolgente tensione interiore e di meditativa introspezione.
L’impostazione del maestro Conlon si è poi inevitabilmente riverberata sulla prestazione della Filarmonica Arturo Toscanini, che, pur suonando anch’essa con diligenza e con impegno, non si è elevata al di sopra di una normale routine. Nemmeno sono mancate una certa ruvidità di alcuni passaggi degli archi e alcune intonazioni incerte di trombe e tromboni. Una scelta discutibile è stata poi quella di far utilizzare ai percussionisti dei timpani e della grancassa bacchette sempre molto ovattate, che hanno smorzato gli interventi ritmici più incisivi e penetranti.
Livello non significativamente dissimile ha qualificato anche la componente vocale.
Tutti gli interpreti, in particolare, sono parsi più impegnati a venire a capo correttamente della partitura, che a renderne l’intimo significato, rituale ed emozionale. E così il basso Alexander Vinogradov ha cantato in modo austero e composto, ma anche limitatamente coinvolgente, mentre, al suo fianco, il tenore Fabio Sartori ha scelto di affidarsi alla sua consolidata esperienza, privilegiando la sicurezza dell'intonazione e un'interpretazione costante anche se forse non sempre in linea con le indicazioni di Verdi (il quale raccomandava che "la messa non si canta come un'opera"). Il risultato, pur solido, ha presentato alcune incertezze, soprattutto nell'Hostias, dove il suo timbro ha talvolta perso di compattezza nei passaggi più lievi.
Sul fronte femminile, che si è meglio distinto, buona è stata la prestazione della giovane soprano Roberta Mantegna, che, ad onta di qualche sporadica ruvidità, ha comunque messo in mostra un’apprezzabile linea di canto. Al suo fianco, il mezzosoprano Szilvia Vörös è venuta a capo con discreto esito della partitura verdiana, cantando con buon controllo della voce e con sicura intonazione.
Assolutamente ineccepibile, come sempre, è stata invece la prova del coro del Teatro Regio, preparato dal maestro Martino Faggiani, che è stato il vero punto di forza della serata, come dell’intero festival.
Anche in questa occasione, quindi, chi ha veramente trionfato è stato il maestro Giuseppe Verdi, che ha lasciato un capolavoro straordinario, capace di resistere anche quando l’interpretazione non riesce a coglierne tutte le sfumature più intime. A lui quindi, oltre che agli interpreti, erano senz’altro diretti gli applausi del pubblico che hanno comunque suggellato la conclusione della serata.