Mendelssohn e Dvorak • Shani
- Lorenzo Giovati
- 19 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Milano, Teatro alla Scala. 14 Aprile 2025.
In una serata milanese decisamente uggiosa, il Teatro alla Scala ha aperto le sue porte per un concerto sinfonico della Filarmonica, accogliendo un pubblico numeroso, folto anche di giovani. Il programma, di grande richiamo, accostava due capisaldi del repertorio ottocentesco: il Concerto per violino e orchestra di Felix Mendelssohn e la Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo” di Antonín Dvorák. Sul podio, il maestro Lahav Shani, figura in ascesa nel panorama direttoriale internazionale, chiamato a dare voce a due pagine tanto note quanto complesse nella loro apparente immediatezza.
La prima parte della serata è stata dedicata al celebre Concerto per violino, affidato alla maestria solistica di Joshua Bell. Fin dalle prime battute, Bell ha mostrato un controllo assoluto dello strumento: la sua sicurezza, il fraseggio estremamente scolpito e una cadenza, di sua invenzione, particolarmente ispirata e coerente con il tessuto mendelssohniano, hanno evidenziato una musicalità luminosa. Il suono del violino, sempre nobile e levigato, ha saputo farsi lirico e brillante, anche se non sempre è riuscito ad emergere dall’impasto orchestrale: non di rado, infatti, le sonorità di violinista e orchestra parevano decisamente sottotono e difficilmente udibili con nitore.
Dal podio, Lahav Shani ha guidato l’orchestra con gesto sicuro, costruendo un’esecuzione pulita e aggraziata, che ha però mostrato un certo distacco espressivo. La lettura è apparsa in linea con una tradizione interpretativa prudente, più attenta all’equilibrio formale che alla ricerca di una tensione emotiva capace di animare il discorso musicale. Le dinamiche, spesso trattenute, hanno indebolito la forza drammatica del primo movimento e la leggerezza del terzo, mentre nel secondo tempo l’eleganza della concertazione ha saputo farsi notare.
Dopo gli applausi entusiastici del pubblico, Bell ha concesso un bis di rara delicatezza: il Notturno n. 2 di Chopin, proposto in un arrangiamento per violino solista e orchestra d’archi. Una pagina tenera e ben cesellata, che ha messo in luce ancora una volta il gusto e l’intelligenza musicale del violinista americano.
Nella seconda parte della serata, Shani è tornato sul podio per dirigere la Nona Sinfonia di Dvorák, una delle opere più amate del sinfonismo romantico. L’orchestra, rinfoltita, ha affrontato la partitura con compostezza, ma anche in questo caso senza imprimere all’esecuzione una personalità distintiva. Il primo movimento, pur ben strutturato, ha faticato a trovare tensione esecutiva. Il Largo, secondo movimento, è stato invece il momento più riuscito della serata: la cantabilità del corno inglese, il respiro ampio della linea melodica e una gestione calibrata delle dinamiche hanno restituito la densità spirituale del brano, pur rimanendo in un ambito di sobrietà espressiva. Lo Scherzo ha convinto per energia e chiarezza di articolazione, ma è mancato un tocco di fantasia nei dialoghi strumentali e nella resa degli episodi contrastanti. Il finale, solido dal punto di vista formale, ha però lasciato una sensazione di incompletezza emotiva.
Sul piano tecnico, la Filarmonica della Scala ha mostrato buone qualità, in particolare nella morbidezza degli archi, ma alcune incertezze negli ottoni, sia nell’intonazione, che negli attacchi, hanno intaccato la compattezza complessiva del suono. Inoltre, non sempre l’orchestra ha risposto con attenzione al gesto del direttore d’orchestra, risultando di scarsa reattività.
Un concerto, dunque, dominato dalla correttezza esecutiva e da un evidente rigore nella preparazione, ma che ha faticato a superare la soglia della routine. Né la direzione di Shani, né la prova orchestrale hanno davvero colto l’occasione per restituire alla musica il suo potere evocativo, lasciando al pubblico l’impressione di aver assistito a un’esecuzione pulita, ma emotivamente trattenuta.