Vienna, Konzerthaus. 9 Novembre 2024.
Le sinfonie di Gustav Mahler sono ormai diventate parte stabile del repertorio sinfonico internazionale, una conquista resa possibile inizialmente grazie a Bruno Walter, assistente del compositore, ma condotta ad elevata dignità artistica e profondità interpretativa dal genio di Leonard Bernstein, giustamente considerato il più grande interprete mahleriano di tutti i tempi. Da allora, interpreti come Tennstedt, Solti, Sinopoli, Abbado, Boulez e Haitink hanno contribuito a consolidare l'eredità di Mahler, portando le sue opere ad appassionare un pubblico sempre più ampio. Alcune sinfonie, come la Prima e la Quinta, sono ormai amatissime e familiari anche ai non addetti ai lavori, grazie a melodie iconiche, come l'Adagietto della Quinta, reso immortale da Luchino Visconti nel suo film Morte a Venezia. Tra queste, però, l'Ottava Sinfonia, nota come "Sinfonia dei Mille" per la vastità dell'organico che sarebbe richiesto, rimane un’opera di rara esecuzione e sconosciuta ai più, quasi mai tra l’altro eseguita con il numero di interpreti previsto. Un'eccezione degna di nota è l’esecuzione di Gustavo Dudamel a Caracas, dove i mille musicisti previsti da Mahler furono effettivamente schierati. Proprio la rarità dell’Ottava e la sua spettacolarità hanno conferito un valore speciale ai concerti che si sono tenuti giovedì, sabato e domenica scorsi alla Konzerthaus di Vienna, un’occasione imperdibile per gli appassionati di Mahler e per chi cerca emozioni musicali irripetibili.
A dirigere l'imponente compagine corale e l’Orchestra Sinfonica di Vienna in questa Ottava Sinfonia di Mahler è stato il maestro Philippe Jordan, figura ormai profondamente legata a Vienna, grazie alla sua esperienza con i Wiener Symphoniker e alla successiva ascesa alla guida musicale dello Staatsoper. L’esecuzione, nelle sue due parti distinte, ha rivelato un controllo assoluto e rigoroso dell’orchestra da parte del maestro Jordan, che, con un gesto nitidissimo e una scansione precisa dei tempi, ha saputo plasmare ogni singola sezione orchestrale con meticolosa attenzione. Nella prima parte, un inno che esplode di energia sin dall’attacco, il maestro Jordan ha optato per tempi equilibrati e ponderati, che hanno evitato ogni eccesso di lentezza e ha permesso alla sinfonia di fluire con chiarezza e con slancio. La sua conduzione ha mantenuto un rigore ritmico ammirevole, conferendo alla sinfonia una scansione netta e coerente, in cui ogni attacco si incastrava con precisione all’interno del complesso tessuto orchestrale. Questa meticolosa esattezza ritmica ha indubbiamente contribuito alla compattezza e alla chiarezza dell’esecuzione, evidenziando un controllo totale sui complessi strati della partitura. Tuttavia, in alcuni momenti, il maestro Jordan ha scelto di trattenere la potenza orchestrale, contenendo il volume complessivo anche laddove una maggiore intensità avrebbe potuto esaltare appieno l’impatto drammatico della composizione. Tale scelta ha portato a un’esecuzione molto equilibrata ma, forse, leggermente trattenuta in alcuni passaggi, in cui la tensione è rimasta un poco attutita, anziché esplodere in quella maestosità sonora di cui la partitura mahleriana si nutre. L’architettura sonora è stata però chiaramente delineata, lasciando emergere i dettagli con grande attenzione, sebbene la scelta di mantenere la tensione "imbrigliata" non è sempre risultata premiante.
La seconda parte dell’esecuzione ha posto in evidenza ancor più l’attenzione del maestro Jordan al cesello e alla bellezza della linea melodica, che si è snodata con grande raffinatezza. Qui il maestro ha optato per tempi che, senza rallentare eccessivamente, hanno lasciato spazio all’articolazione meditativa, ricca di sfumature, creando un ambiente sonoro quasi sacro, in cui le componenti vocali si sono inserite con naturalezza. Ogni frase musicale è stata costruita con una cura minuziosa, frutto di un profondo studio della partitura e di un gesto direttoriale che ha reso ogni transizione fluida e impeccabile. La precisione assoluta del maestro Jordan ha permesso all’orchestra di esprimersi con una disciplina tecnica ammirevole, evidenziando una sincronia tra sezioni rara e preziosa. Nel finale, il maestro Jordan ha raggiunto un equilibrio perfetto tra maestosità e controllo. La scelta di un tempo non troppo rapido ha conferito un senso di grandezza ponderata, mai esagerata, che ha concluso l’esecuzione con un’imponenza travolgente.
La prestazione dei Wiener Symphoniker è stata superlativa, per coesione e per qualità timbrica. Ogni sezione è emersa per le proprie peculiarità distintive: gli archi, con un suono vellutato e avvolgente, hanno saputo creare atmosfere dense e calde. Gli ottoni, taglienti e precisi, si sono distinti per l’energia controllata e la pulizia degli attacchi, conferendo una tensione drammatica e un senso di imponenza che ben si adattavano alla scrittura mahleriana. Le percussioni, perentorie e incisive, hanno scandito i momenti di maggiore impatto con una precisione e una potenza che hanno saputo esaltare il carattere epico della composizione, senza mai risultare eccessive. Infine, i fiati, con un suono limpido e cristallino, hanno arricchito il tessuto orchestrale con delicate sfumature timbriche, emergendo con eleganza e sostenendo l’orchestra in un dialogo di straordinaria armonia e trasparenza. Dalla profondità calda degli archi all’incisività degli ottoni, passando per la chiarezza dei fiati e la forza ritmica delle percussioni, l’orchestra ha dato vita a un’esecuzione memorabile, capace di trasmettere tutta la grandezza e l’intensità emotiva della composizione. I Wiener Symphoniker si sono dimostrati, non solo impeccabili tecnicamente, ma anche estremamente a proprio agio, nonostante la complessità della partitura, regalando una performance che resterà sicuramente nel ricordo per la sua qualità. Ottimi sono stati anche gli interventi degli ottoni "fuori scena" posizionati sopra il palcoscenico, sopra l'organo e all'interno di un'apertura nel soffitto della sala.
Più che eccellente è stata anche la prestazione del grande insieme corale, formato dai cori Wiener Singverein e Wiener Singakademie, entrambi ben identificabili dai loro abiti (Wiener Singverein: Smoking per gli uomini, tonaca nera con stola identificativa per le donne; Wiener Singakademie: Giacca e cravatta per gli uomini, abito nero per le donne). La loro versatilità sonora, che va dalla sconfinata potenza del "Veni Creator Spiritus!", alla morbidezza del conclusivo "Alles Vergängliche", passando addirittura per le onomatopee scandite con durezza dell'inizio della seconda parte, è stata semplicemente magnifica, un equilibrio perfetto tra precisione tecnica ed espressività musicale. All'interno di questo grande coro, si sono distinti stupendamente anche i giovani coristi Wiener Sängerknaben, una vera e propria istituzione musicale della città di Vienna, già presenti nell'esecuzione di Leonard Bernstein (sempre alla Konzerthaus) e ospiti ricorrenti del Neujahrskonzert. I giovani artisti si distinguono sempre per precisione di fraseggio, ottima potenza e notevole intonazione.
Lodevolissime sono state anche le voci soliste.
Nel comparto femminile, ogni interprete ha saputo dare un contributo di altissimo livello, rendendo giustizia alla scrittura complessa e densa della parte corale di Mahler.
Ha spiccato la morbidezza vocale del soprano Johanni Van Oostrum (Una poenitentium), capace di infondere delicatezza e introspezione nei suoi interventi, che hanno brillato per eleganza.
Altrettanto notevole è stata la leggerezza cristallina di Regula Mühlemann (Mater Gloriosa), posizionata sopra il palcoscenico, il cui canto sembrava librarsi in modo etereo, raggiungendo momenti di incorporea levità.
Il contralto Noa Beinart (Maria Aegyptiaca) ha impressionato per la potenza espressiva del suo mezzo vocale, unita a una forza interpretativa che ha conferito profondità e intensità ai suoi interventi.
Non meno brillante è stata l'agilità impeccabile del soprano Elisabeth Teige (Magna Peccatrix), che ha affrontato la linea melodica con una precisione e una luminosità vocale che ha saputo catturare il pubblico.
Infine, il mezzosoprano Tanja Ariane Baumgartner (Mulier Samaritana) ha offerto una performance avvolgente, grazie a una voce calda e pastosa, arricchita da sfumature di grande raffinatezza.
Anche il comparto maschile si è dimostrato di un livello eccellente, affrontando con grande abilità le difficoltà tecniche e interpretative delle varie parti.
Il tenore Benjamin Bruns (Doctor Marianus) si è distinto per la sua straordinaria capacità di coniugare agilità e tecnica, sfoggiando una voce sicura e luminosa che ha saputo dare vita ai passaggi più complessi della sua scrittura.
Il baritono Christopher Maltman (Pater ecstaticus), dal canto suo, ha offerto una prova di grande fascino, con una voce calda e perfettamente intonata che si è fatta portavoce di una spiritualità vibrante e appassionata.
Ha chiuso questo eccellente gruppo il basso Tareq Nazmi (Pater profundus), che ha interpretato la sua parte con una maestosità vocale di rara bellezza. Il suo timbro profondo e autorevole, unito a una nobile austerità, ha reso i suoi interventi ottimi e perfettamente aderenti al carattere richiesto dalla partitura.
L’esecuzione dell’Ottava Sinfonia di Mahler alla Konzerthaus di Vienna ha rappresentato quindi un trionfo artistico di rara bellezza, un autentico monumento musicale elevato da interpreti straordinari e da una guida direttoriale di altissimo livello.