La Gioconda • Steinberg
- Lorenzo Giovati
- 16 apr 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Napoli, Teatro di San Carlo. 13 Aprile 2024.
Dopo 47 anni di assenza, l'opera 'La Gioconda' di Amilcare Ponchielli è tornata sul palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli. Quest'opera è celebre per la sua drammaticità e per la sua ricca partitura, che cattura l'essenza delle emozioni dei personaggi, nel contesto storico veneziano del Rinascimento. L'opera, che ha avuto una tormentata composizione, su libretto di Tobia Gorrio (alias Arrigo Boito), non è di frequentissima rappresentazione, fors’anche perché si snoda attorno ad una vicenda drammatica la cui narrazione musicale-teatrale appare meno raffinata, con anche evidenti ruvidezze del libretto, rispetto, ad esempio, a quelle verdiane. Un limite, che non di rado affiora durante l’ascolto, ma che, come in altri casi, può essere attenuato, se non ovviato, mettendo in scena un cast voca di prim'ordine, sorretto da una solida direzione orchestrale. Esattamente come è avvenuto nella realizzazione napoletana.
Il cast vocale, fatta eccezione per il ruolo di Barnaba, era identico a quello della Gioconda salisburghese, andata in scena al festival di Pasqua 2024 (quindi fino alla settimana prima dell’inizio delle recite a Napoli) sotto la illuminata direzione di Antonio Pappano.
Nel ruolo della cantatrice Gioconda si è esibita Anna Netrebko, che in questo ruolo e su questo palco ha festeggiato, una settimana fa, i suoi trent’anni di carriera, con una recita straordinaria domenica scorsa. La soprano, meritatamente molto applaudita alla fine dello spettacolo, ha confermato di essere ancor oggi, non solo una grande cantante, ma anche un grande interprete e, dunque, un’artista di primissimo piano nell’attuale panorama mondiale. La sua performance è stata ineccepibile, sia dal punto di vista interpretativo, sia dal punto di vista vocale, sebbene il timbro della sua voce sia mutato con il passare del tempo e nella sua vocalità ancora sontuosa emergano inevitabili segnali di stanchezza e di usura. E così, se la cantante ha conservato la capacità di alleggerire in modo sublime la voce nel registro acuto, offrendo effetti che oggi è raro sentire, nel registro mediano e inferiore la voce è non di rado risultata molto scura, sfociando a tratti nel declamato. Dall’interpretazione è però emersa tutta la sensualità, l’ostinatezza, la gelosia e la “femminilità” del personaggio, sempre, ma soprattutto nell’ultimo atto.
Meno entusiasmante è stata invece la prova del tenorissimo Jonas Kaufmann, anch’egli “reduce” dalle tre recite di Salisburgo, per concentrarsi sulle quali ha dato forfait alle programmate due recite della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, in ciò sostituito da Luciano Ganci. La sua voce è apparsa, già dall’esordio, opaca e affaticata, per di più a fronte di un ruolo impervio, che già naturalmente poco si addice alla sua vocalità e all’impostazione del suo canto. Alla modesta brillantezza vocale, Kaufmann ha però compensato con il suo talento musicale e artistico, offrendo una prestazione che, nel suo complesso, è stata caratterizzata da tanta fatica, ma anche da tanta classe. Ne è stata prova la celeberrima aria Cielo e mar, che il tenore ha eseguito con eleganza, risolvendo le parti più impervie, non con lo squillo e con la prestanza vocale, che gli facevano difetto, ma ricorrendo a suggestive mezze voci, che hanno comunque ben reso il momento scenico e che hanno conquistato comunque il consenso del pubblico, giustamente indulgente con un artista di tale calibro.
Immensa è stata invece la prova artistica di Ludovic Tézier, nei panni del fosco e crudele Barnaba, unico artista a non aver preso parte alle recite salisburghesi, in cui compariva invece il baritono Luca Salsi. Il baritono francese ha dato sfoggio di una voce rotonda, piena, potente e solidissima nell'intonazione, che ha conferito piena credibilità al personaggio. È sempre stato fermo e risoluto nel fraseggio, in particolare nei momenti di maggiore pathos e in quelli con Gioconda. Una prestazione, la sua, di primissimo livello.
Il mezzosoprano Eve Maud Hubeaux, anche lei in cartellone a Salisburgo, avendo sostituito all'ultimo minuto Anita Rachvelishvili, è stata un'interprete di qualità per questo ruolo, in particolare quando si è cimentata in parti impostate sul registro mediano e basso. Non sempre ineccepibile è stata invece negli acuti.
Al suo fianco Alexander Köpeczi, nei panni di Alvise Badolero, non ha fornito una performance del tutto convincente. Scenicamente è stato corretto, ma la sua voce è parsa opaca e monocorde.
Kseniia Nikolaieva ha impersonato la madre di Gioconda, ovvero "La Cieca". Vocalmente dispone di un mezzo molto potente e assai accurato nell'intonazione. Interpretativamente è stata pregevole anche dal punto di vista scenico, risultando quasi una presenza angosciante, in particolare quando risale dalle acque della laguna veneziana con le braccia tese verso Tézier.
Bravi anche Lorenzo Mazzucchelli (Zuàne, Un cantore e Un pilota), Roberto Covatta (Isèpo) e Giuseppe Todisco (Un barnabotto).
La direzione d'orchestra, affidata al maestro Pinchas Steinberg, è apparsa solida e ben curata nelle sonorità, nella scelta dei tempi e nelle dinamiche. Nella Danza delle ore, a cui mi sento di fare menzione speciale, in quanto è il brano più famoso di tutta l'opera, la direzione è stata elegante nella prima parte, ma non particolarmente lieve e trasparente, come forse dovrebbe essere, nella parte terminale. I momenti di maggiore tensione dell’opera sono però risultati molto efficaci, come i finali di secondo e terzo atto.
L'orchestra del Teatro di San Carlo è stata ottima soprattutto nelle sezioni di archi e fiati, che sono stati sempre molto puntuali e rigorosi nell'insieme. Il Coro è stato altrettanto eccellente nelle scene d'assieme (con una nota di merito speciale per i tenori), magnificamente preparato da Fabrizio Cassi. Altre due menzioni speciali le meritano l'ottimo Coro di Voci Bianche e il corpo di ballo che è stato eccellente.
Il regista Romain Gilbert ha proposto una regia molto dinamica e versatile, non completamente classica, ma comunque molto interessante. La piazza del primo atto si è trasformata, con due essenziali modifiche, ma molto intelligenti, in un attracco in tipico stile veneziano. Gli elementi in scena sono sempre appropriati e i riferimenti altrettanto pertinenti. In questo clima di "classicità", non era forse necessario trasformare Isèpo in Arlecchino (dal costume, ai movimenti scenici).
Lo spettacolo è stato, quindi, sicuramente di altissimo livello, con ovazioni meritate per Tezier e Netrebko.