La Battaglia di Legnano • Ceretta
- Lorenzo Giovati
- 1 ott 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Parma, Teatro Regio. 29 Settembre 2024.
Dopo la parentesi bussetana de Un Ballo in Maschera, andato in scena al Teatro Verdi con due cast differenti venerdì sera e sabato pomeriggio, l'attenzione della corrente edizione del Festival Verdi si è nuovamente concentrata sul palcoscenico del Teatro Regio di Parma, con la prima de La Battaglia di Legnano.
Atteso era il ritorno della regista Valentina Carrasco, che aveva firmato, due anni fa, sempre al Teatro Regio, un’edizione del Simon Boccanegra, che non fu particolarmente apprezzata, e con buone ragioni, dal pubblico allora presente. Sebbene il tema presenza in scena di cadaveri di animali (poco conta se bovini o equini), che già aveva caratterizzato la precedente esperienza registica, ritorni anche in questo caso, frammisto ad altre presenze di animali vivi, la sua declinazione è qui apparsa più appropriata e maggiormente misurata, non fosse altro perché l’azione, che prende corpo nell’opera, si svolge in un contesto dichiaratamente bellico, in cui l’uso dei cavalli e la raffigurazione del loro sacrificio trovano una facile giustificazione. Nonostante le scene fossero un poco spoglie, in alcuni momenti dell'opera, la simbologia utilizzata si è rivelata di facile interpretazione e l'effetto che in alcuni casi essa ha generato, unitamente al movimento studiato delle masse e alla gestione di uno sfondo costruito con cura, ha accompagnato efficacemente lo svolgimento dell’azione scenica, ricevendo l’apprezzamento del pubblico. Molto scenografico è stato il secondo atto, che ha accompagnato l'entrata in scena di Barbarossa, in cui, un faro puntato alle sue spalle, in direzione della platea, permetteva agli spettatori di intravederne solo la sagoma.
Un altro atteso ritorno era quello del maestro Diego Ceretta, giovanissimo direttore milanese, già noto al pubblico del Teatro Regio di Parma per la sua recente conduzione de Il Barbiere di Siviglia. La sua direzione de La Battaglia di Legnano ha sicuramente il merito di essere l’esito di un serio studio della partitura, che è stata restituita con fedeltà e precisione. Tuttavia, la sua lettura non è andata oltre una diligente esecuzione e un appropriato accompagnamento delle voci, ma non ha mai lasciato trasparire, né un’ambizione interpretativa, qualunque essa fosse, né l’impegno di sostenere una partitura in sé debole, con addizioni di fantasia e di temperamento, come se il desiderio di rispettare fedelmente la partitura medesima lo avesse trattenuto dall'infondere nell'orchestra quel vigore e quella vitalità di cui un'opera come La Battaglia di Legnano assolutamente necessita. Nei primi due atti e in altre scene d'assieme, il maestro Ceretta è riuscito a mantenere un buon livello di coinvolgimento, regalando momenti in cui l’orchestra ha ben alimentato i momenti drammatici dell’opera. Il resto della direzione, però, pur restando tecnicamente ineccepibile, è mancata di tensione e di vibrazione. La Battaglia di Legnano è un’opera che vive di contrasti forti e di un'energia pulsante, e che trova la sua forza nella passione (anche di Verdi): ragioni per le quali, senza una direzione più audace e di maggior carattere, che a tale passione conferisca un senso scenico, rischia di perdere il fattore di attrazione che tiene il pubblico avvinto.
L'orchestra del Teatro Comunale di Bologna, per parte sua, non lo ha di certo aiutato. Come nel Trovatore dell'anno scorso, l'orchestra ha mostrato evidenti criticità in ogni sua sezione, ottoni in testa, per qualità del suono, intonazione, coesione e precisione. Da un’orchestra stabile di un Ente Lirico vi è certamente da attendersi ben di più.
Sufficiente, ma nulla di più, è apparso anche il Coro del Teatro Comunale di Bologna, preparato da Gea Garatti Ansini, che non ha brillato né per potenza, né per coesione, né per stabilità, soprattutto nel comparto femminile.
Sul palcoscenico le cose sono andate assai meglio.
A partire dall'Arrigo di Antonio Poli. Il tenore viterbese ha sfoggiato una linea di canto molto franca e un buon fraseggio eroico, che però non gli ha impedito di modulare a tratti la sua voce, rendendola più espressiva, come nella prima aria "La pia materna mano". Gli acuti sono stati precisi ed intonati e la sua interpretazione appassionata. Ciò gli ha consentito di ottenere meritati consensi.
Al suo fianco ha brillato anche la Lida di Marina Rebeka, interprete di spicco nel panorama artistico femminile attuale. Il soprano lettone ha svettato per eleganza della sua linea vocale e per una grande tecnica. Notevole è risultata anche la sua agilità, che le ha permesso di controllare appieno e con successo il suo mezzo, sfoggiando acuti raggiunti con facilità, mantenuti con stabilità e alleggeriti con sensibilità. La sua prestazione, quindi è risultata molto pregevole.
Notevole è stata anche la prestazione di Vladimir Stoyanov, nei panni di Rolando. Il baritono bulgaro, interprete giustamente affermato del repertorio verdiano, pur lasciando a tratti trasparire qualche segno di affaticamento (ad esempio nella ripetizione della cabaletta "Ahi! Scellerate alme d'inferno"), si è però confermato appieno un cantante di grande classe, mettendo in mostra la sua solita linea di canto bella, nobile ed elegante. L'interpretazione è parsa inoltre precisa e curata.
Ottima si è rivelata anche la prestazione del basso Riccardo Fassi, nei panni del Barbarossa. La sua voce scura, seppur non travolgente per potenza, gli ha consentito di condurre il finale del breve secondo atto, con nobiltà di canto e austerità interpretativa.
Hanno completato bene il cast Alessio Verna (Marcovaldo), Emil Abdullaiev (Il Podestà di Como / Primo Console di Milano), Bo Yang (Il console), Arlene Miatto Albeldas (Imelda) e Anzor Pilia (Uno scudiero di Arrigo / Un araldo).
Lo spettacolo si è concluso quindi con un successo buono e meritato, tranne per una piccola e isolata contestazione al maestro Ceretta, forse determinata dalle riserve anche qui espresse.