Il Trittico • Steinberg
- Lorenzo Giovati
- 26 giu 2024
- Tempo di lettura: 9 min
Torino, Teatro Regio. 23 Giugno 2024.
La stagione 2023/2024 del Teatro Regio di Torino, che ha proposto numerosi titoli pucciniani (La Boheme, La Fanciulla del West e Le Villi) nell’anno in cui ricorrono i cento anni dalla morte del compositore lucchese, si è avviata alla conclusione con la messa in scena del cosiddetto Trittico, ultimo titolo della stagione. L’idea fu quella di accostare, in un atto unico, tre opere (Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi), di differente carattere, ma accumunate dall’unico filo conduttore della morte, ora vista come epilogo catastrofico, ora come liberazione, ora infine come beffa. L'idea originale di Puccini era infatti quella di realizzare un'opera ispirata alle tre cantiche della Divina Commedia dantesca, che però, a causa della scarsità di soggetti, rievoca solo nel loro epilogo. L'unica delle tre opere ispirata al poema dantesco (Canto XXX, vv. 22-48) è "Gianni Schicchi".
La versione proposta al Teatro Regio di Torino è stata curata nelle scene da Tobias Kratzer e nella direzione musicale dal maestro Pinchas Steinberg, con un cast vocale complessivamente pregevole e in parte variato tra le opere.
La regia di Tobias Kratzer si è posta l’obiettivo, invero non particolarmente originale, di creare un collegamento tra le tre opere, così sacrificandone però le specificità teatrale, nonché ricollocandole nel tempo e nello spazio. Il Tabarro ha in tal modo perso completamente la propria ambientazione parigina per collocare la vicenda scenica nel porto di una città moderna (con tanto di Skyline rosso sangue sullo sfondo). La scena è stata divisa in quattro parti: (partendo dal basso a destra in senso orario) la stiva della nave (usata solo per la morte di Luigi), il ponte della nave, la camera di Michele e Giorgetta, il molo. A lato della scena, un monitor proiettava le immagini che Michele guardava sulla sua televisione, ovvero alcune scene di una sorta di sit-com all'americana (che poi si capirà essere Gianni Schicchi, che lo stesso Michele considera – ma lo si evince solo dalle note di sala-, come un figura eroica della classe operaia, nonché come un modello di abilità nel fare "soldi facili"). Quando invece la televisione era guardata da Giorgetta venivamo proiettate immagini felici di Lauretta e di Rinuccio, a simboleggiare l'amore tanto agognato con Luigi. In questa visione americana, il vino tanto desiderato da Il Talpa diventa Coca Cola e il Tabarro di Michele si trasforma in un impermeabile portuale. Il venditore di Canzonette diviene, invece, una sorta di Hippie e le Midinettes (che da vocabolario sono le sognatrici) si trasformano in prostitute provocanti.
Questa ambientazione si trasforma poi in un fumetto, che alcune suore si passano nascostamente,nella successiva Suor Angelica. La scena è diventata completamente vuota e composta solo da un muro, sul quale venivano proiettate alcune immagini che, non di rado, fungevano da prosieguo dell'azione scenica. La zia principessa è quindi diventata una signora con occhiali, con borsetta e con vestiti di alta moda. Infine, dopo l'avvelenamento di Suor Angelica, il fumetto è stato scoperto dalle suore e bruciato. Una scintilla è uscita dal camino e ha incendiato il convento, dalle cui fiamme è uscita la figura del figlio di Suor Angelica.
Un’ambientazione totalmente differente ha trovato invece Gianni Schicchi che, con una platea di pubblico anche sul palco, ha inscenato anche la morte di Buoso Donati che, dopo aver estratto un LP dalla custodia (visibilmente una "Suor Angelica" della Deutsche Grammophone), ha ascoltato il finale di Suor Angelica e modificato il testamento in favore dell'Opera di Santa Reparata, inserendolo nella custodia del disco, dove Rinuccio lo troverà successivamente. L'azione si è svolta come se fosse una diretta televisiva (con tanto di sopratitoli presenti in scena). A metà dell'opera è poi comparsa (inspiegabilmente) una Jacuzzi, nella quale i parenti e Gianni Schicchi hanno fatto il bagno e giocato con la schiuma. E’ rimasto inoltre assai poco credibile che il finto Buoso (ovvero Gianni Schicchi), morente, riuscisse a camminare, mentre dettava il testamento. Il cadavere di Buoso Donati (impersonato da Riccardo Mattiotto), che, dopo l'infarto, si accascia sulla poltrona presente in scena, è stato, in seguito agli ordini dello Schicchi, spostato su una poltrona della finta platea, creando una situazione comica quando, alla fine dell'opera, il cadavere si è ribaltato ed è caduto in scena.
La regia, così articolata, ha invero convinto solo in parte. I collegamenti tra le opere che, a dar merito, sono risultati quasi sempre appropriati, sono andati un poco a discapito delle singole opere stesse che, non di rado, si sono dovute piegare alle esigenze imposte dall’impostazione registica. Questo problema si è evidenziato soprattutto nel Tabarro, in cui la storia ha smarrito alcuni riferimenti fondamentali, come il segno del fiammifero, che avrebbe dovuto attirare Luigi, il tabarro stesso e l'uccisione di Luigi (che fatta avvenire, non per strangolamento, ma per accoltellamento). In Suor Angelica, invece, le immagini proiettate (come quella di Suor Dolcina che, in preda ad una "crisi di astinenza" dai dolci, si nasconde e divora biscotti e Nutella con le mani) hanno, non raramente, distolto l'attenzione dall'azione realmente inscenata e dalla musica. In Gianni Schicchi, ancora, è parsa una trovata registica priva di senso la vasca da bagno calata dal soffitto e usata per giocare con il sapone. I punti di forza della regia sono stati invece, senza dubbio, gli elementi visivi e la capacità di mantenere viva l'attenzione del pubblico con scelte sceniche originali. Poco convincente è stata anche la scenografia del Tabarro, completamente snaturata di significati e luoghi, seppur con una convincente idea di collegamento con Gianni Schicchi. La scelta di un'ambientazione completamente vuota in Suor Angelica, al contrario, ha creato un forte impatto visivo, accentuando la percezione della solitudine e del dolore del personaggio principale. Le proiezioni sul muro sono risultate un mezzo efficace per espandere la narrazione oltre il palco fisico, anche se a volte distraevano dall'azione centrale. Per Gianni Schicchi, la decisione di rappresentare l'opera come una diretta televisiva con sopratitoli ha conferito un tono ironico e contemporaneo, sebbene l'introduzione della Jacuzzi sia sembrata gratuita e fuori contesto. L'uso del cadavere di Buoso Donati come elemento comico ha infine funzionato bene, creando momenti di umorismo che si adattavano all'atmosfera farsesca dell'opera.
In sintesi, quindi, la regia di Tobias Kratzer, che ha molto diviso il pubblico, persino generando uno scontro molto acceso in platea tra due spettatori, ha cercato di offrire una visione unificante e moderna del Trittico di Puccini, approdando però a risultati alterni.
La direzione del maestro Pinchas Steinberg è stata invece eccellente senza riserve. In tutte e tre le opere, il maestro israeliano ha prediletto una direzione incentrata su tempi tendenzialmente lenti, ma non per questo priva di carica emotiva, ma, anzi, assai ricca di suoni vivi. Nel Tabarro, la direzione ha convinto per dinamiche e per coinvolgimento. In Suor Angelica, il tempo lento è andato completamente a servizio della melodia (molto più leggera e soave di quella del Tabarro) e dell'espressività della parola scenica, soprattutto quella della Zia Principessa. In Gianni Schicchi, infine, le dinamiche sono state a tratti poco frizzanti, ma comunque hanno scandito perfettamente l’evolversi dell'azione scenica, soprattutto merito di un suono spesso molto percepibile. La direzione ha brillato, non solo quando era protagonista, ma anche quando era a servizio del canto, come nell'aria "O mio Babbino caro" di Lauretta (Gianni Schicchi), in cui la soavità dei violini e il tempo perfettamente coerente e corretto, hanno reso magistralmente la delicatezza del brano, senza mai sovrastare le voci. Il maestro Steinberg ha inoltre guidato l’ottima orchestra del Teatro Regio di Torino, che ha suonato sempre in modo appropriato, soprattutto nella sezione degli archi.
Il cast vocale è stato parimenti pregevole.
Ne Il Tabarro, non ha particolarmente convinto l’interpretazione che la soprano Elena Stikhina ha offerto del personaggio di Giorgetta, che è apparsa perennemente tormentata da angosce, ma comunque distaccata e asettica, soprattutto quando Michele le svela il cadavere di Luigi, scena che lei apostrofa con un “urlo” cantato che è apparso molto poco realistico. Le riserve interpretative sono però state compensate da una vocalità straordinaria, sia nel registro intermedio, sia in quello acuto.
Il vero protagonista dell’opera è stato però il baritono Roberto Frontali, che ha delineato un Michele pensieroso e, a tratti, rabbioso, oltre che vocalmente molto preciso (anche se con qualche oscillazione). Ha eseguito molto bene l’aria “Nulla!…Silenzio!…”.
Ha deluso invece un poco Samuele Simoncini nel ruolo di Luigi, che dispone di un mezzo vocale potente, ma non sempre adeguatamente controllato in termini di volume e di eleganza. Interpretativamente ha delineato un Luigi più eroico, che innamorato, ottenendo comunque un buon successo personale.
Eccellente è stata, per contro, Annunziata Vestri nel delineare una Frugola molto diretta e spontanea. Il mezzosoprano ortonese, non solo dispone di un mezzo dal colore adeguato al ruolo, ma ha fornito un’interpretazione eccellente, che ha reso il personaggio simpatico (dal suo esordio, fino al “Ron Ron Ron” del suo gatto) e nel complesso adorabile. Ha eseguito molto bene e con la dovuta enfasi la sua aria d’esordio, così come l’aria della casetta.
Molto bene ha fatto anche Roberto Covatta nei panni de Il Tinca che, nell’essere vocalmente molto intonato, anche se forse un poco carente di raffinatezza, ha delineato un personaggio estremamente credibile. Altrettanto soddisfacente è stato anche Il Talpa di Gianfranco Montresor. I due giovani amanti (che per sottolineare ancora meglio il legame con Gianni Schicchi) erano Lucrezia Drei (in seguito Lauretta) e Matteo Mezzaro (in seguito Rinuccio) sono stati appropriati, così come il venditore di canzonette (Enrico Maria Piazza) e “la voce di sopranino” (Irina Bogdanova).
In Suor Angelica, Elena Stikhina si è riscattata appieno, entrando in scena come protagonista assoluta. In un’opera di sole donne è sicuramente emersa tra tutte (giustamente e nonostante le altre voci fossero comunque molto pregevoli) quella della soprano russa. L’interpretazione, che non è stata travolgente per tutta la prima parte dell’opera, ha rappresentato benissimo la figura di una suora rassegnata e addolorata per tutto ciò che l’ha colpita. L’interpretazione è cambiata radicalmente dopo l’incontro con la Zia Principessa, proponendo un personaggio divenuto estremamente addolorato e religiosissimo. La romanza “Senza mamma” è stata un tripudio di emozioni, anche se il lungo acuto finale è stato mantenuto un poco a fatica. La vocalità, perfetta per il ruolo e intonatissima, ha aggiunto credibilità e precisione all’interpretazione.
Al medesimo livello si è collocata anche l’incredibile Zia Principessa di Anna Maria Chiuri che ha delineato un personaggio interpretativamente perfetto. Le movenze, gli sguardi e le singole parole andavano tutte a servizio di un’espressività travolgente, che ha conferito un’estrema e realistica cattiveria al personaggio. Fin dalle prime note de “Il Principe Gualtiero vostro padre”, al “Firmarla”, riferito alla rinuncia dei beni, e alla freddezza con cui ha comunicato a Suor Angelica la prematura morte del figlio, l’interpretazione è stata magistrale, comunicando gelo in scena, frutto di una comprensione eccelsa. La voce, sempre modulata e controllata alla perfezione, insieme al colore vocale adeguato, hanno conferito ancora più credibilità al personaggio. La Zia Principessa della Chiuri si è quindi rivelata essere, non solo la migliore del momento, ma anche all’altezza delle più grandi interpretazioni del passato.
La Badessa di Monica Bacelli è stata timbricamente e interpretativamente ben delineata.
La Suora infermiera, interpretata da Tineke Van Ingelgem è stata pregevole vocalmente e scenicamente.
Bene hanno fatto anche Suor Genovieffa (Lucrezia Drei), Suora Zelatrice (Annunziata Vestri), Suor Osmina (Annelies Kerstens), Una novizia (Emma Posman), Suor Dolcinia (Ksenia Chubunova), la prima sorella cercatrice (Irina Bogdanova), la seconda sorella cercatrice (Daniela Valdenassi), prima suora (Caterina Borruso) e la terza suora (M. Lourdes R. Martins).
Ultimo, ma non per importanza, il coro femminile del Teatro Regio di Torino, che è stato, non solo di eccellente presenza in scena, ma soprattutto di ottima compattezza e velluto sonoro.
In Gianni Schicchi, così come in Suor Angelica, è emersa soprattutto la voce e l’interpretazione del protagonista interpretato da Roberto Frontali, che è ritornato sul palcoscenico dopo aver cantato Il Tabarro, con il ruolo, che forse gli è più congeniale di Michele. Alcune criticità di instabilità vocale riscontrate nella prima opera (forse dovute ad una maggiore difficoltà del repertorio drammatico rispetto a quello farsesco), si sono infatti completamente dissolte e la vocalità ben timbrata ha potuto accentuare perfettamente la comicità e l’astuzia del personaggio. L’interpretazione, molto rigida all’inizio, si è poi aperta con lo svilupparsi della storia. Il fraseggio, perfettamente scandito, e la vocina ad imitazione di quella del defunto Buoso Donati, hanno ulteriormente caratterizzato il personaggio sullo stile ironico e comico.
Altra eccellenza del cast si è riconfermata anche Zita, interpretata dall’ultraottantenne Elena Zilio, che ha fatto sfoggio di una voce dalla sonorità potente, a tratti è sfociata in un declamato molto persuasivo, e che ha delineato perfettamente il personaggio. Scenicamente è stata altrettanto eccellente.
Tra le voci pregevoli ha primeggiato quella tenorile del bravo Matteo Mezzaro. La vocalità chiara e incisiva, ha contribuito a creare un Rinuccio credibilissimo, anche per merito di un’interpretazione ottima e molto sicura. Con bravura e ottima intonazione (soprattutto negli acuti finali) ha eseguito l’aria “Firenze è come un albero fiorito”.
Al suo fianco ha fatto molto bene anche la Lauretta di Lucrezia Drei, che con voce leggera, intonata e soave ha eseguito la celeberrima aria “O mio Babbino caro”, agevolata da un’orchestra leggerissima. In generale l’interpretazione è stata molto precisa e curata e la voce molto controllata e appropriata.
Molto simpatico, scenicamente eccellente e vocalmente adeguato è stato anche il Simone di Gianfranco Montresor. Le seconde parti dei parenti e dei comprimari, formate da Gherardo (Roberto Covatta), Nella (Irina Bogdanova), Gherardino (Ludovico Longo), Betto di Signa (Tyler Zimmerman), Marco (Andres Cascante), La Ciesca (Tineke Van Ingelgem), Pinellino (Lorenzo Battagion) e Guccio (Alessandro Agostinacchio) sono state tutte eccellenti.
Una menzione speciale e conclusiva la merita il Maestro Spinelloccio e il Ser Amantio di Nicolao di Roberto Accurso, che è stato vocalmente pregevole e scenicamente molto simpatico.
Al termine gli applausi del pubblico sono state prolungati e scoscianti.