Elektra • Balke
- Lorenzo Giovati
- 20 mar
- Tempo di lettura: 8 min
Verona, Teatro Filarmonico. 16 Marzo 2025.
Nel panorama operistico del primo Novecento Elektra di Richard Strauss rappresenta uno degli apici del linguaggio espressionista in musica, un'opera che fonde brutalità e raffinatezza in una partitura di sconvolgente modernità. Dal punto di vista formale, Strauss rompe con la concezione tradizionale dell’opera lirica, adottando una struttura che si avvicina piuttosto al flusso ininterrotto del dramma musicale wagneriano, con un uso magistrale dei Leitmotiv e una scrittura orchestrale di dimensioni mastodontiche. Fondamentale, nel concepire Elektra, è stato l'incontro con Hugo von Hofmannsthal, il quale aveva già adattato la tragedia di Sofocle in un dramma teatrale fortemente intriso di psicologia freudiana. La loro collaborazione, che si protrarrà per gran parte della carriera di Strauss, prende qui il via con un testo di straordinaria densità espressiva, in cui il mito classico si trasforma in una vertiginosa discesa negli abissi della psiche umana. Proporre Elektra oggi, con le sue enormi difficoltà vocali e orchestrali, richiede uno sforzo produttivo considerevole e il Teatro Filarmonico di Verona merita senza dubbio un plauso per aver affrontato una delle partiture più complesse del repertorio novecentesco. In un panorama lirico spesso ripiegato su titoli di sicura presa, un’operazione di questo tipo rappresenta una sfida artistica e culturale di grande valore, offrendo al pubblico l’opportunità di immergersi in un capolavoro di impareggiabile intensità.
Il merito della riuscita dell’operazione va attribuito senza dubbio anche alla direzione accurata e partecipe del maestro Michael Balke, che aveva già calcato il podio del Filarmonico qualche anno fa con Salome. La sua concertazione ha saputo coniugare un controllo rigoroso della partitura con un impulso drammatico sempre ben calibrato, evitando ogni ricerca dell’effetto fine a sé stesso per concentrarsi piuttosto su una lettura attenta alla coesione strutturale e alla densità espressiva. Fin dalle prime battute, Balke ha dimostrato un gesto chiaro ed elegante, capace di conferire all’orchestra un suono compatto e ben definito, senza mai appesantirne la naturale fluidità. La tensione drammatica è stata mantenuta con coerenza lungo l’intero arco dell’esecuzione, grazie a un uso sapiente delle dinamiche e a una gestione equilibrata dei rapporti tra le sezioni orchestrali, che ha permesso di far emergere con chiarezza le stratificazioni timbriche della partitura. Balke ha saputo mantenere un respiro ampio e una narrazione sonora sempre ben articolata. Non è mancata, inoltre, una cura meticolosa nella gestione dei colori orchestrali: la tavolozza sonora è stata esplorata con grande raffinatezza, esaltando i giochi di luce e ombra della partitura e conferendo a ogni sezione il giusto rilievo, senza mai sacrificare il senso dell’insieme. La sua lettura, pur priva di eccessi spettacolarizzanti, è risultata avvincente proprio per la sua capacità di tenere costantemente alta la tensione drammatica, facendo emergere con chiarezza la forza espressiva della partitura e restituendo un’esecuzione di ottima solidità interpretativa.
Da segnalare anche che in questa produzione è stata utilizzata, per la prima volta in Italia, la versione riorchestrata da Richard Dünser, che ha attuato una riduzione orchestrale rispetto alle sterminate dimensioni della versione originale. L’intervento di Dünser ha permesso di ridurre il numero di orchestrali in buca senza che si avvertisse una reale perdita di densità sonora o di impatto drammatico, preservando l’equilibrio timbrico e la complessità della scrittura straussiana pur in una dimensione più contenuta.
L’Orchestra della Fondazione Arena di Verona, sotto la guida del maestro Balke, ha risposto con prontezza e duttilità, rivelando una straordinaria capacità di sfumatura e una notevole compattezza d’insieme. Tutte le sezioni hanno offerto una prova eccellente, mettendo in luce un equilibrio sonoro ben calibrato e un’attenzione costante alla coerenza timbrica. Particolarmente degni di nota i fiati, che si sono distinti per precisione d’intonazione e qualità espressiva, e le percussioni, capaci di imprimere all’esecuzione una spinta ritmica incisiva e ben dosata, senza mai risultare ridondanti o eccessive.
Pregevole è stato l'intervento del Coro della Fondazione Arena di Verona, impegnato solo in minima parte all'interno dell'opera.
Ottimo è stato anche il fronte vocale, campeggiato in primis dall'Elettra di Lise Lindstrom, eccellente sotto ogni aspetto: vocale, interpretativo e scenico. La sua interpretazione ha restituito un personaggio autentico, profondamente umano nella disperazione e nell’ossessione che lo divorano. Rispetto alla sua fonte greca, l’Elektra di Hofmannsthal è una creatura prigioniera di un’idea fissa, simbolo di un mondo in disfacimento, e la sua vendetta assume i contorni di un rituale catartico che si consuma in un’estasi di autodistruzione. La Lindstrom ha saputo incarnare questa dimensione con un'ottima intensità drammatica, scolpendo un personaggio che vive di tensioni estreme, tra impeto selvaggio e momenti di inquietante abbandono. Vocalmente, la sua prova è stata eccellente, sostenuta da una voce potente e duttile, capace di affrontare senza sforzo le arditezze della scrittura straussiana. Gli acuti sono risultati incisivi e penetranti, sostenuti da un vibrato ben marcato, che tuttavia non è mai parso né inelegante né fastidioso. Sul piano interpretativo, la sua Elektra ha attraversato ogni sfumatura emotiva con un’intensità quasi febbrile: tormentata nei passaggi con Oreste, dove ha saputo infondere una tensione emotiva palpabile, e al tempo stesso melliflua e insinuante nei momenti con Egisto, delineando così con grande intelligenza scenica il doppio volto della sua vendetta. La sua prova, indubbiamente di alto livello, è stata coronata da un’accoglienza entusiasta, con abbondanti applausi che hanno suggellato una prestazione notevolissima.
Buona è stata la prestazione di Soula Parassidis nei panni di Crisotemi, un personaggio che richiede non solo un solido controllo vocale, ma anche una capacità interpretativa in grado di bilanciare il contrasto con la furiosa intensità di Elektra. Il soprano ha affrontato la parte con slancio e determinazione, restituendo con efficacia i tratti essenziali della sorella di Elektra: non più un’ombra della protagonista, ma una figura con una propria identità ben definita, animata da un desiderio di vita e di normalità che si oppone, senza però annullarla, all’ossessione autodistruttiva della protagonista. Vocalmente, la Parassidis ha messo in campo un timbro pieno e di grande volume, che ha permesso di mantenere una presenza sonora ben distinta anche nei momenti più concitati dell’orchestrazione. Seppur non senza qualche fatica nel registro acuto, dove la voce ha mostrato occasionali tensioni, la cantante è riuscita a mantenere la linea con coerenza, senza cedimenti evidenti nella proiezione o nella tenuta dell’emissione. Il fraseggio, chiaro e ben articolato, ha reso con efficacia il carattere contrastante di Crisotemi, figura combattuta tra la paura e il desiderio di una vita diversa, più conforme alle convenzioni e lontana dalla spirale di vendetta che domina la sorella.
Eccellente è stata anche Anna Maria Chiuri nei panni di Clitennestra, un ruolo che sembra esserle stato cucito addosso per naturale affinità vocale e interpretativa. Il mezzosoprano ha saputo restituire un personaggio di straordinaria complessità, sfuggendo alla tentazione di tratteggiarlo come una semplice figura di potere crudele. La sua Clitennestra è risultata feroce, ma mai eccessiva, insinuante più che apertamente minacciosa, capace di trasmettere un’inquietante ambiguità attraverso un fraseggio accurato e un uso della parola penetrante, sempre perfettamente intelligibile. Sul piano vocale, la sua prova è stata notevole per omogeneità timbrica e controllo del suono. La Chiuri ha affrontato la scrittura straussiana con sicurezza, valorizzando ogni sfumatura della parte grazie a una linea vocale scolpita con cura e a una tenuta tecnica ineccepibile. I gravi, sempre ben sostenuti, non hanno mai perso compattezza o spessore, risultando perfettamente integrati nel registro centrale senza cedimenti o sbiadimenti timbrici. Nei confronti con Elektra, la tensione è risultata palpabile, con un equilibrio perfetto tra autorità e vulnerabilità. Nel complesso, una prova di altissimo livello, che ha confermato la statura artistica del mezzosoprano e la sua perfetta aderenza a un ruolo tanto complesso quanto sfaccettato, raccogliendo il meritato plauso del pubblico.
Thomas Tatzl ha offerto un’eccellente interpretazione di Oreste, restituendo un personaggio di grande impatto scenico e vocale. Fin dal suo ingresso in scena, ha saputo imprimere alla figura del fratello vendicatore una presenza autorevole e carismatica, delineando un personaggio solido, pervaso da una determinazione granitica. Il suo accento eroico si è sposato perfettamente con una linea vocale di notevole sicurezza, sostenuta da un timbro elegante e nitido che ha saputo imporsi con naturalezza. Vocalmente, la prestazione di Tatzl si è distinta per una notevole solidità tecnica: l’emissione è risultata salda e ben proiettata in tutta la gamma, senza mai cedere a forzature o sbavature. Le intonazioni perfette e il controllo del fiato gli hanno permesso di mantenere una linea di canto omogenea e pulita, esaltando la scrittura di Strauss con una vocalità ben scolpita e sempre leggibile. Nel complesso, la sua prova è stata di altissimo livello, sia per il controllo vocale impeccabile sia per la capacità di restituire un Oreste vivido e sfaccettato, all’altezza delle tensioni drammatiche che animano l’opera. Il pubblico ha premiato la sua performance con applausi convinti, riconoscendo il valore di un’interpretazione tanto solida quanto raffinata.
Molto bravo anche Peter Tantsits nei panni di Egisto, a cui ha saputo conferire un equilibrio ben dosato tra arroganza e vulnerabilità, restituendo un personaggio incisivo. La sua interpretazione è risultata efficace, con un fraseggio chiaro e un timbro ben proiettato, capace di emergere nei suoi momenti in scena. Particolarmente riuscita la resa della scena della sua uccisione, in cui ha saputo modulare gli acuti con una sofferenza credibile.
Molto affiatato e vivace è risultato anche il quintetto delle ancelle (Lucia Cervoni, Marzia Marzo, Anna Werle, Francesca Maionchi e Manuela Cucuccio) tutte interpreti di ottimo livello, sia vocalmente, che sul piano espressivo. L’eccellente coesione tra le voci e la chiarezza della dizione, favorita nonostante la predominanza di interpreti italiane, hanno reso il loro intervento particolarmente incisivo.
Di ottimo livello e molto ben inseriti nell'azione sono parsi anche i numerosi comprimari: Nicolò Donini (Il Precettore di Oreste), Anna Cimmarrusti (La Confidente), Veronica Marini (Ancella dello strascico), Leonardo Cortellazzi (Un Servo giovane), Stefano Rinaldi Miliani (Un Servo anziano), Raffaela Lintl (La Sorvegliante).
Visivamente impattante e funzionale, seppur non di immediata comprensione e a tratti caotica, è risultata la regia di Yamal das Irmich. Le opere di Richard Strauss hanno da sempre affascinato i registi, spingendoli verso interpretazioni attualizzate e riletture moderne, spesso trascurando quella che potrebbe apparire come la soluzione più naturale e più aderente alla sua essenza tragica: un’ambientazione ispirata all’antica Grecia. La scelta di das Irmich di traslare la vicenda in un salotto borghese del periodo della Repubblica di Weimar si è rivelata suggestiva nelle intenzioni, ma la sua realizzazione scenica non è sempre riuscita a tradurre questa visione in una narrazione chiara ed efficace. L’ambientazione ha creato un interessante contrasto tra la patina di normalità e la violenza latente del dramma, suggerendo una società in disfacimento, ma la densità concettuale della regia ha finito talvolta per appesantire la lettura, rendendola meno incisiva e dispersiva in alcuni momenti. Alcune idee si sono rivelate visivamente affascinanti ed efficaci, come la decisione di mostrare, attraverso un’ombra proiettata su una tenda, l’uccisione di Agamennone, l’evento scatenante dell’intero dramma. Anche la scelta di vestire Egisto con abiti femminili ha rappresentato una rilettura interessante, forse suggerendo una fragilità latente del personaggio o un ulteriore elemento di ambiguità all’interno della corte decadente di Micene. Tuttavia, il finale della produzione si è rivelato particolarmente discutibile e poco convincente. L’arrivo improvviso di soldati tedeschi che hanno messo a soqquadro la casa, Oreste vestito da militare e, soprattutto, Elektra che, anziché soccombere nel suo delirio di danza, si è vestita anch’essa da soldato, hanno completamente stravolto il senso ultimo della tragedia. Se la scena voleva suggerire una trasfigurazione della vendetta in un’ideologia bellica, il risultato è apparso forzato e privo di un vero legame con la costruzione drammaturgica dell’opera. Il gesto finale di Elektra, che invece di precipitare nel suo delirio autodistruttivo si è uniformata ai soldati, ha smorzato la potenza del climax musicale e ha lasciato un senso di spaesamento, senza offrire un’alternativa drammaticamente soddisfacente alla conclusione originale. Alcuni spunti registici hanno saputo arricchire la lettura dell’opera, mentre il finale ha rischiato di snaturarne il senso, chiudendo lo spettacolo con una soluzione che, più che illuminare nuovi aspetti della tragedia, ha finito per renderla meno incisiva.
Questa Elektra ha restituito in modo eccellente la potenza e l’intensità di uno dei capolavori più travolgenti del Novecento. La direzione solida e ben calibrata di Balke ha saputo valorizzare l’eccellente prova dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona, mentre il cast vocale, guidato da una magnetica Lise Lindstrom, ha affrontato con sicurezza le proibitive richieste della partitura. Un’operazione ambiziosa e riuscita, che ha riportato in scena Elektra con tutta la sua crudezza, ferocia e bellezza.