Salisburgo, Großes Festspielhaus. 9 Agosto 2024.
Nel 2021, primo festival quasi “normale” dopo l’esplosione dell’emergenza pandemica che aveva notevolmente condizionato, quando non impedito del tutto, lo svolgimento degli spettacoli teatrali, il programma della kermesse Salisburghese aveva proposto un’edizione molto accattivante del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, organizzata per il precedente sfortunatissimo anno 2020, diretta da Teodor Currentzis e con la regia di Romeo Castellucci, che a Salisburgo aveva già realizzato una Salome di Strauss e qualche anno dopo avrebbe proposto il Castello del Duca Barbablù (Bartók) e De Temporum fine Comoedia (Orff). A distanza di tre anni la direzione del festival ha nuovamente riproposto un analogo Don Giovanni, sempre sotto la guida impareggiabile del maestro greco, con una compagnia di canto quasi identica e con una messa in scena simile (ma niente affatto uguale) del medesimo regista. E assai bene la direzione del festival ha fatto, perché lo spettacolo proposto quest’anno ha rasentato la perfezione, offrendo una sensibile e molto interessante evoluzione di quello, già magnifico, di tre anni or sono.
Romeo Castellucci, utilizzando l’impianto registico già collaudato nel 2021, pare oggi avere espresso un’idea più definita del suo “Don Giovanni”, grazie ad alcune significative modifiche, apportate alla messa in scena di tre anni fa, che hanno reso più nitida la sua concezione dell’opera e del protagonista. Non vi è dubbio che, al di là dell’apprezzamento che ognuno può esprimere per una regia che certamente non si risolve nell’arredare le scene, il tocco registico di Castellucci è caratterizzato da un talento molto evidente, che rende il suo lavoro estremamente interessante, anche se, in alcuni frangenti, risulta forse eccessivo il ricorso ad elementi simbolici, non sempre, tra l’altro, di facile e immediata comprensione (è rimasto irrisolto, ad esempio, il senso da attribuire all’automobile che nell’edizione attuale è appesa e pendente sulla scena, mentre nell’edizione del 2021 precipitava dall’alto, come il pianoforte). Quello di Castellucci è un Don Giovanni che non solo ha, fuori di sé ed attorno a sé, il suo (assai meno nobile) doppio in Leporello e il suo grottesco, ma sincero, opposto in Don Ottavio (rappresentato, in molteplici panni [sciatore, cocchiere, capitano di nave, persino scaldato con tre termosifoni] come un anti-eroe, che contrappone i suoi valori convenzionali e la sua statica incapacità di agire all’inarrestabile azione, senza limiti e senza freni, di Don Giovanni), ma che ha anche, dentro di sé, la sua intima contraddizione (Il Commendatore). Ne offre momento emblematico la scena finale dell’opera in cui il Commendatore non è presente in palcoscenico, ma canta dalla buca dell’orchestra, mentre Don Giovanni muove la bocca, in una sorta di playback, come se fosse da lui posseduto. E così Don Giovanni incarna allo stesso tempo, sia la morte (poiché, laddove non vi è sentimento, non vi identificazione tra le persone, che finiscono in tal modo per divenire numeri di un catalogo – non a caso, in apertura di opera, Don Giovanni dice a Donna Anna “…chi son io tu nol saprai…”), sia la vita (poiché, come ebbe a dichiarare lo stesso Castellucci in un’intervista, non vi è ordine, senza disordine, e non vi è vita, senza morte, con la conseguenza che la morte di Don Giovanni rende privi di vita anche gli altri personaggi, che erano animati dal suo dissacrante fuoco). In questo contesto, la morte di Don Giovanni non è l’esito di una condanna morale, ma è la fine “naturale” di un insensato eccesso di vita. E, sempre in questo contesto, trova spiegazione plausibile anche la scelta di affidare la chiusa finale, non a Donna Anna, Donna Elvira, Masetto, Zerlina e Leporello, ma al coro in buca, come a dare voce collettiva ad una sorta di non meglio definita umanità, come è quella che popola il catalogo. Persino il personaggio di Donna Anna subisce una notevole modifica psicologica, in quanto, quando narra a Don Ottavio gli avvenimenti nella notte precedente, alcune marionette sullo sfondo, mostrano, in realtà, come lei, anziché “torcersi e gridare”, fosse invece consenziente, almeno inconsciamente, nell’ospitare Don Giovanni nel suo letto. Attorno ai personaggi si muove poi, nel secondo atto, una massa di variegate donne salisburghesi, che incarnano un catalogo vivente, e che delineano, con il loro movimento scenico, suggestive traiettorie, volte accompagnare e sottolineare, con composta severità, l’irrefrenabile passione/ossessione di Don Giovanni. Il tutto in una scena che è popolata da simboli (soprattutto nel primo atto), del cui eccesso già si è scritto (la capretta, il cane piccolo, il cane grande, il topo, i giochi che vengono infantilmente rotti, il pianoforte cascante che genera disarmonia, l’eden stilizzato, le mele della tentazione e del peccato, il Cristo in croce che, prima viene rimosso, e poi ricompare alla fine del primo atto a segnalare che da lì in poi si sarebbe fatta giustizia, la chiesa vuota a fungere da ambiente neutro dell’azione, ecc.).
Sul fronte musicale l’impostazione scenico-narrativa di Castellucci ha indubbiamente trovato un’interprete ideale e oggi non superabile nell’arte, nell’estro e nel talento del maestro Currentzis, che ha saputo offrire una lettura della partitura mozartiana che è risultata, a sua volta, tutto e il suo contrario, e, soprattutto, che è parsa l’approdo di una maturazione assai tangibile a chi abbia avuto la fortuna di ascoltarlo, dapprima nell’esecuzione del 2018 a Lucerna (in forma concertata), e poi nella già ricordata edizione salisburghese del 2021. Oggi il suo Don Giovanni è energico, ma anche lieve e delicato, elegante e classico, ma anche materico e sfrenato, comunque sempre splendidamente partecipe di ogni momento, di ogni atmosfera e di ogni emozione. E così, la sua interpretazione ha spaziato dalla dilatazione sin estrema di alcuni recitativi, finalizzata a scavare come mai si è sentito prima l’azione scenica e la preparazione emozionale del brano seguente (splendido, ad esempio, è parso il recitativo che precede il duetto Zerlina-Don Giovanni “..là ci darem la mano…”, tanto lento da far cogliere, non solo la fatica della conquista, ma anche la lentezza con cui si realizza la corruzione dei pur non saldissimi riferimenti valoriali di Zerlina) alla dionisiaca aria di Don Giovanni “Fin ch’han dal vino”, tra l’altro sostenuta da un effetto scenico stupefacente, in cui l’orchestra, i cui componenti suonano in piedi, si è elevata progressivamente, grazie ad una buca mobile, a livello del palcoscenico, al crescere del ritmo della musica. Per non tacere del modo in cui il maestro Currentzis dirige un complesso orchestrale che gli risponde come meglio non si potrebbe e con cui guida le voci, suggerendo loro approdi interpretativi non di rado superlativi. Basta ricordare, ma è nuovamente solo un esempio tra i tanti, il recitativo che precede “Mi tradì quell’alma ingrata”, cantato magistralmente da Federica Lombardi e studiato per creare un profondo distacco dinamico tra la lentezza delle parole e della musica e la successiva agitatissima aria, o l’aria finale di Donna Anna, in cui la sofisticatissima arte canora della Pavlova, unitamente all’ispirazione orchestrale del maestro Currentzis, ha realizzato come è raro ascoltare l’idea della non espugnabilità sentimentale, se non a prezzo del delitto.
Al gesto, magari poco ortodosso, ma certamente assai efficace, del maestro Currentzis ha risposto benissimo l’orchestra Utopia, impegnata per la prima volta dalla sua fondazione in questo repertorio. Utopia non ha forse il volume di suono che fece apprezzare nel 2021 MusicAeterna, ma sicuramente dispone di una qualità sonora elevatissima, grazie all’apporto di musicisti di livello eccelso. Non meno entusiasmante è stato il coro Utopia, che, come ricordato, si propone anche nella “antichissima canzon” del secondo finale.
Il cast vocale, in una produzione di così grande qualità, non poteva essere, a sua volta, che di pari e di adeguato livello.
Nel comparto maschile ha primeggiato l’eccellente Don Giovanni di Davide Luciano, baritono italiano che ha sostenuto il medesimo ruolo anche nel 2021. Rispetto a due anni fa, la sua capacità di definire i contorni del personaggio, nonché la sua vocalità, pur già ottime, sono notevolmente migliorate. Luciano ha messo in mostra un’eccellente presenza scenica, un ottimo fraseggio e un canto sapiente, ben controllato, ben modulato e sempre perfettamente intonato. Il suo Don Giovanni è senza dubbio nobile e credibilissimo.
Al suo fianco si è imposto l’ottimo Leporello di Kyle Ketelsen (new entry del cast), che ha saputo risolvere, in termini di solo canto, il non facile rebus interpretativo di essere il doppio di Don Giovanni, ma anche di distinguersi da lui per esserne il suo riflesso meno nobile. Ottimi sono stati fraseggio, dizione e intonazione. Notevole è stata, in particolare, la sua prova nell’aria “Madamina, il catalogo è questo”.
Nel comparto femminile ha invece spiccato la vocalità semplicemente straordinaria Nadezhda Pavlova (già presente e già indimenticabile Donna Anna nel 2021), la quale, non soltanto possiede una voce bella e all’occorrenza anche potente, ma soprattutto è in grado di offrire una linea di canto di rara purezza, che le consente di essere, ora soave e lieve (senza, miracolosamente, qualsiasi tipo di vibrato), ora veemente e viscerale (soprattutto durante la scena in cui racconta a Don Ottavio gli avvenimenti della sera prima, cantando un “Grido!” da brividi). Magistrale è stata poi la sua interpretazione dell’aria “Crudele! Ah, no mio bene”.
Non da meno è stata Federica Lombardi (anch’essa già presente nel 2021, ma anche nell’edizione del 2018 a Lucerna), che si è riconfermata una donna Elvira di grandissimo spessore. Il suo canto è stilisticamente perfetto, la sua voce sempre bella, la sua presenza scenica attenta e la sua interpretazione sempre molto accurata.
Anche il Don Ottavio di Julian Prégardien (altra novità del cast) si è distinto per la bella voce tenorile, che ben si adatta alle esigenze musicali ed interpretative del personaggio. Scenicamente è stato di buona presenza e vocalmente è stato pregevole, anche se non è riuscito del tutto a nascondere qualche difficoltà nella sua seconda aria “Il mio tesoro intanto”. La prestazione complessiva però, considerata anche l’eccellente interpretazione, è stata ottima.
Novità del cast sono stati anche Masetto e Zerlina, rispettivamente Ruben Drole e Anna El-Khashem. Entrambi sono stati bravi scenicamente. Masetto ha tuttavia evidenziato qualche leggero difetto di dizione e di gestione del fiato, mentre Zerlina è risultata pregevole in tutte le sue arie e anche in “La ci darem la mano” insieme a Don Giovanni.
Nonostante sia evidente la marginalità del ruolo, che però non inficia la sua importanza per lo svolgersi della vicenda scenica, il Commendatore di Dmitry Ulyanov si è rivelato eccellente. Il basso russo ha impersonato il ruolo con ieratica austerità, conferita da una voce scura e potente.
L’esito è stato quindi un Don Giovanni che forse non può avere uguali nel panorama operistico attuale. Il trionfo è stato assoluto, con una meritatissima standing-ovation finale.