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Lorenzo Giovati

Così Fan Tutte • Jordan

Vienna, Staatsoper. 16 Giugno 2024.

 

Lo Staatsoper di Vienna, che ha da poco annunciato la sua nuova interessante stagione 24/25, ha proposto al pubblico viennese l’ultima delle premiere d’opera della stagione corrente, ovvero il Così fan Tutte di Wolfgang Amadeus Mozart, diretto da Philippe Jordan, direttore musicale dello Staatsoper. Il maestro Jordan ha già eseguito le altre due opere nate dal connubio Mozart-Da Ponte, (tra le quali merita di essere ricordata una bellissima produzione di Nozze di Figaro, andata in scena a giugno 2023, con la regia di Barrie Kosky, che ha firmato anche la regia di questo Così fan Tutte) e nuovamente eseguirà il trittico dapontiano in tre giorni consecutivi a marzo 2025.


Il maestro Jordan si è riconfermato, anche in questa occasione, un interprete mozartiano di alta sensibilità e di notevoli qualità. La sua direzione, seppur non protagonistica come quella, ad esempio,di Teodor Currentzis o di Sir John Eliot Gardiner, è comunque stata molto convincente per la sapienza delle dinamiche prescelte, per la sobrietà del gusto e per la trasparenza dei suoni. In un'opera come il Così fan Tutte, in cui l'orchestra ricopre un ruolo minore rispetto alle voci e in cui prevale costantemente il pianissimo, l'eleganza che ha contraddistinto la direzione del maestro Jordan, in questa, come anche in altre precedenti produzioni mozartiane (come Le Nozze di Figaro a Vienna o il Don Giovanni all'Opera di Parigi), è stata sicuramente l’elemento di maggior pregio di tutto lo spettacolo. La leggerezza di alcuni passaggi, come nel meraviglioso terzetto "Soave sia il vento", contrapposta ad una vivacità mai eccessiva, ma comunque sempre godibile, ha pienamente convinto, anche il pubblico. Il maestro Jordan ha inoltre perfettamente accompagnato i recitativi al clavicembalo.


Le masse dello Staatsoper di Vienna sono state entrambe eccellenti. L’orchestra ha suonato generalmente benissimo, soprattutto nella sezione degli archi e dei fiati, mentre il coro, seppur relegato ad un ruolo decisamente secondario, ha eseguito con precisione i propri interventi.


Alla pregevolezza della direzione, si è però contrapposta la assai minore pregevolezza della regia Barrie Kosky, che aveva trovato felici intuizioni nelle Nozze di Figaro dello scorso anno, ma che non si è ripetuto in questo Così fan Tutte. L’impianto scenico, se ben lo si è capito (perché ormai lo spettatore, anziché essere posto nella condizione di ascoltare pacificamente la musica, è frequentemente messo di fronte al rebus di provare a capire proposte sceniche che non di rado sono comprensibili solo a chi le ha elaborate), consisteva in un finto teatro, statico durante il primo atto e rotante durante il secondo. Tale teatro, che ha fatto da contrappunto un poco squallido alla sublime eufonia della musica, ha funzionato da ambientazione di una storia che non esiste, esclusivo frutto della fantasia del regista, la quale si è sovrapposta, come "storia nella storia", alla trama dell’opera, di cui comunque e per fortuna (ma è stato questo l’unico vero pregio) non ha stravolto la dinamica. E così Fiordiligi, Dorabella, Guglielmo e Ferrando sono divenuti studenti, che si sono trovati a provare uno spettacolo per Don Alfonso, all’interno di un teatro in cui, nel palcoscenico, è andata in scena la vita “retorica”, basata sulla declamazione del valore della fedeltà, mentre, nel back stage, ha preso invece corpo un percorso introspettivo dei protagonisti, incui il cedimento alla tentazione è risultato vincente sui valori affermati.  Sino al finale dell’opera in cui i quattro protagonisti, rientrati negli abiti indossati all’inizio, e quindi ritornati alla loro vita “esteriore”, hanno restituito, arrabbiati, il copione a Don Alfonso, vestito in abiti settecenteschi, ad impersonare (forse) lo stesso Mozart. Il tutto, come si è scritto, declinato in un contesto ambientale non attraente, in marcata dissonanza con l’armonia della musica; come ha trovato realizzazione tramite una gestualità scenica spesso inutilmente caricata, quando non sboccata, anche in questo caso fortemente contraddittoria rispetto alla sofisticata allusività del libretto di Da Ponte e della musica di Mozart, che non necessita di spiegazione alcuna. È stata quindi del tutto giustificata la disapprovazione che, una parte del pubblico, ha rumorosamente rivolto all’indirizzo del regista quando questi, alla fine dello spettacolo, si è presentato in palcoscenico, unitamente agli altri artisti, indossando, tra l’altro, un eccentrico pigiama a righe.    


La componente vocale è stata invece molto pregevole.


Su tutti ha spiccato la splendida Fiordiligi di Federica Lombardi, che è stata forse la migliore del cast. La Lombardi è sensibilmente maturata, sia vocalmente, sia come interprete, e ha dimostrato di aver fatto tesoro delle sue precedenti esperienze mozartiane (ad esempio, nei panni di Donna Elvira nel Don Giovanni diretto da Teodor Currentzis), che le permettono oggi di essere un’interprete di spicco in questo repertorio. Il suo mezzo vocale è potente, senza mai essere sforzato, è sempre sorretto da una perfetta intonazione, è rotondo nel timbro, ma allo stesso tempo duttile nelle agilità. Il fraseggio ha lo stile che deve avere quando viene cantato Mozart. Ne è scaturita una Fiordiligi intensa e tormentata.  L'aria "Come scoglio immoto resta", che ha ricevuto qualche inspiegabile, quanto isolata, disapprovazione, è stata eseguita molto bene, anche nel registro estremo.


Al suo fianco, lodevole è stata anche la Dorabella di Emily D'Angelo, al suo debutto allo Staatsoper. La soprano canadese ha anch'essa offerto un'interpretazione assai pregevole, cogliendo in modo appropriato gli aspetti più drammatici del personaggio e contrapponendoli altrettanto bene a quelli più "spensierati", al cui servizio ha messo accenti e dinamiche differenti a seconda delle situazioni.


Il tenore Filipe Manu, che ha interpretato Ferrando, è stato annunciato come indisposto all'inizio della rappresentazione, ma ha comunque deciso di sostenere una parte del ruolo (soprattutto perché la regia, ricchissima di movenze, avrebbe messo in grande difficoltà un tenore sostituto dell'ultimo minuto). Per ovviare al problema il Teatro ha quindi deciso di far sostenere i recitativi e alcune parti cantate al tenore schedulato per la rappresentazione e di far eseguire le arie più importanti (come "Un'aura amorosa") ad un secondo tenore, nel caso Bogdan Volkov, collocato fisicamente in buca d'orchestra. La soluzione ha funzionato senza problemi. Filipe Manu è stato scenicamente molto presente, rivelandosi un ottimo attore. Anche vocalmente, per quel poco che ha cantato, è stato pregevole, nonostante il suo fraseggio, forse anche in ragione della sua indisposizione, non sia sempre apparso impeccabile in ogni passaggio. Bogdan Volkov, dal canto suo, ha sostenuto le parti più complesse, mostrando una vocalità corretta e precisa, anche se un poco priva di volume e di potenza.


Non poter sempre percepire con chiarezza la voce di Ferrando ha causato qualche problema al baritono Peter Kellner, che ha interpretato Guglielmo, e che, non di rado, ha dovuto cantare piano per sentire il tenore. Questa difficoltà ha talvolta compromesso la fluidità della sua esecuzione e l'equilibrio tra le voci nei duetti. Quando però era il tenore Manu a cantare, la voce è apparsa brunita e ben controllata, sorretta da una buona padronanza tecnica e da una corretta espressività. Nel complesso, sebbene ci siano stati alcuni problemi di coordinazione, la performance ha contribuito a mantenere alta la qualità musicale dello spettacolo.


Esuberante scenicamente è stata poi la Despina di Kate Lindsey, che, sebbene dotata di una voce leggermente vibrante a tratti, ha interpretato il suo ruolo con vivacità e con ironia. La sua espressività sul palco ha aggiunto un tocco di comicità alle scene, rendendo la sua performance interessante e dinamica, al netto degli eccessi gestuali di cui già si è scritto.


Ultimo, ma non per importanza, il bravissimo Christopher Maltman ha interpretato il Deus ex machina dell'opera, ovvero Don Alfonso. Il baritono inglese, che ha già sostenuto il medesimo ruolo in altre occasioni, tra cui va ricordata la bellissima incisione discografica con Teodor Currentzis, ha delineato un Don Alfonso misurato, sufficientemente insinuante e perfettamente nella parte del "macchinatore di inganni". La voce, ambrata e molto ben controllata, si è prestata ad un'esecuzione elegante e, a tratti, divertente.


Alla fine, lo spettacolo ha riscosso un meritato, quanto incondizionato, successo di pubblico.

 

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