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Lorenzo Giovati

Cavalleria Rusticana e Pagliacci • Bisanti

Milano, Teatro alla Scala. 28 Aprile 2024.

 

Entrare nel Teatro alla Scala suscita immancabilmente una certa emozione, soprattutto se ci si va per assistere al dittico più famoso del repertorio operistico italiano e, ancor più, se quest’ultimo manca dal 2015. Ovviamente mi sto riferendo ai due capolavori Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, la cui congiunta messa in scena non è più oggi scontata come lo era un tempo. 


Sul podio, per entrambe le opere, vi era il maestro Giampaolo Bisanti, che, nel complesso, ha svolto un lavoro assai pregevole, confermandosi un serio professionista. La sua direzione di Cavalleria Rusticana è stata impostata su dinamiche tradizionali, ma si rivelata sicura e di ottimo gusto musicale, senza concessioni ad effetti veristici di maniera. I tempi prescelti sono stati generalmente rapidi, specialmente all'inizio del preludio, in cui la celerità della dinamica è forse andata a discapito della creazione di  un'atmosfera particolarmente avvolgente. Tuttavia, in altri momenti, i tempi si sono rivelati felici, come nel Regina Coeli, che è stato forse il momento più toccante della prima parte, insieme al duetto Turiddu-Santuzza. Il maestro Bisanti ha poi mantenuto l'orchestra molto coesa e sonoramente presente, quasi muscolare, nel duetto Alfio-Santuzza. Per l’esecuzione del famosissimo intermezzo, il maestro Bisanti ha scelto un tempo inizialmente rapido, dilatatosi poi nella parte centrale del pezzo, che è apparsa molto melodica e curata. Questa parte dell'intermezzo è stata interpretata nei modi più vari, dal solenne pianissimo di Thielemann (Salisburgo, 2015), all'esplosione melodica dell'inarrivabile Karajan, nella registrazione scaligera. La lettura del maestro Bisanti è comunque stata sicuramente di ottimo gusto, prediligendo la melodia al vigore orchestrale, un poco forse a discapito della tensione di alcune pagine. Il finale tuttavia è stato molto interessante e coinvolgente.


La parte vocale è stata di ottimo livello.

Saioa Hernández, subentrata all’indisposta Elīna Garanča, è stata bravissima nel suo debutto in questo ruolo. La Hernández ha dipinto una Santuzza dolente e turbata, raggiungendo la vetta dell'emotività nell'aria "Voi lo sapete, o mamma", cantata con estrema padronanza del mezzo vocale e con un’interpretazione molto attenta e curata. E' poi stata molto brava, sia nel duetto con Turiddu, sia in quello con Alfio. L'unica nota imperfetta è stata "A te la mala Pasqua!" che, poiché cantata e non recitata con impeto (come si tende a fare), è risultata notevolmente sottotono. Un debutto, quindi, molto felice in cui è emerso tutto il talento e la preparazione di questa artista, la quale dispone di una  vocalità che usa con estrema proprietà e che ha un colore ottimale per questo ruolo.


Nei panni del Compare Turiddu si è esibito il tenore americano Brian Jagde che ha esordito bene nel siciliano dell' "O Lola" iniziale. Il tenore dispone di una voce potente, ampia e corposa. Gli acuti sono raggiunti alla perfezione e sono mantenuti con altrettanta tecnica. L'interpretazione però è stata carente in qualche aspetto, limitata dal fatto che Jagde, se da un lato, esprime una rimarchevole baldanza vocale, dall’altro lato, non arricchisce sempre tale qualità con una pari capacità interpretativa, in termini di canto, con la conseguenza che, per buona parte della recita, l’apparato emotivo e sentimentale del personaggio è risultato uniforme o, quantomeno, poco variato. Ciò è risultato più evidente  nel duetto con Santuzza e nella scena finale con l'aria "Mamma, quel vino è generoso", entrambi i brani bene eseguiti dal punto di vista tecnico, ma poco espressivi e interpretativamente un poco simili tra loro. La prova nel complesso però è stata decisamente di alto livello.


Il compar Alfio di Amartuvshin Enkhbat è stato eccellente dal punto di vista vocale, risultando quasi fin troppo elegante per un ruolo così rude. L'interpretazione però è stata molto valida e molto apprezzata dal pubblico.


La Lola di Francesca Di Sauro è stata ammaliante e sensuale, anche per merito della sua voce ambrata e della sua eccellente presenza scenica.


Altrettanto convincente è stata anche la Mamma Lucia di Elena Zilio, che ha interpretato il personaggio, più declamando, che cantando, così come aveva fatto alla Royal Opera House di Londra sotto la guida del maestro Pappano, ottenendo anche in quel caso un grande successo.


Dopo l'intervallo, il maestro Bisanti è tornato sul podio per dirigere Pagliacci, iniziando con un vivacissimo prologo. In questo caso, è emersa di più la volontà del direttore di ricreare un’atmosfera  coinvolgente e, quindi, di migliore esito rispetto a quella, già buona, di Cavalleria Rusticana. Il maestro milanese è stato in grado di creare momenti di maggiore partecipazione orchestrale, ben contrapposti a momenti più lievi ed eterei, come nell'aria di Nedda, fornendo in entrambi i casi un perfetto supporto per la componente vocale. L'intermezzo è stato delineato con maggiore emotività e tormento rispetto a quello di Cavalleria. Il momento culminante della direzione, però, è stato raggiunto durante tutto il secondo atto, ricco di suoni e colori vivaci e sgargianti.


Anche in questo caso il cast è stato eccellente.

Il tenore Fabio Sartori ha interpretato Canio in modo molto sicuro, offrendone un’interpretazione che è apparsa sempre appropriata, se non perfetta. Vocalmente è stato pregevole, specialmente nella cura delle intonazioni, anche se non sempre limpido. Ciononostante, ha dipinto un "Vesti la giubba" sicuro e non scontato, proiettando la voce molto bene e raggiungendo il registro acuto con estrema agilità. Stessa cosa ha fatto per "No! Pagliaccio non son", cantato con evidente tormento, più che con introspezioni che distraggono dall'obiettivo di un tragico finale.


Al suo fianco è comparsa la solidissima Nedda di Irina Lungu. La soprano dispone di una linea di canto nitida e limpida, che le ha permesso un ottimo approccio con l'aria di apertura. Man mano che la vicenda si è sviluppata e il dramma prendeva corpo, prendevano corpo anche il suo personaggio e la sua voce, in perfetto allineamento con l'azione scenica.


L'unico componente del cast a comparire in entrambe le opere è stato Amartuvshin Enkhbat, che è tornato sul palco nei panni di Tonio. La sua esecuzione del prologo è stata da ricordare. La voce è rotonda, morbida ma soprattutto molto potente. Le note sono state ben tenute e l'interpretazione si è rivelata assolutamente personale. Ha poi raggiunto l'acuto finale alla perfezione e senza esitazioni. Peccato che dopo l'acuto il pubblico non si sia trattenuto dall’applaudire, non portando la pazienza ed il rispetto di attendere la chiusa del pezzo, a cui pur poco mancava, così rovinando l'atmosfera e quelle poche battute che rimanevano da eseguire prima dell' "Andiam. Incominciate!".

Il prologo ha comunque ricevuto una meritata ovazione.


Mattia Olivieri, che sempre alla Scala interpreterà presto anche il ruolo del Dottor Malatesta nel prossimo Don Pasquale, è un Silvio ormai esperto. L'interpretazione del personaggio che il baritono ha fornito è stata simile, ma non uguale, a quella che avevo già avuto modo di sentire a Londra qualche anno fa, quando cantò sotto la direzione del maestro Pappano. Olivieri dispone, sia del colore vocale (che si distingue perfettamente da quello di Tonio), sia della presenza scenica (veramente eccezionale), sia infine della preparazione perfetti per questo ruolo. La sua interpretazione coglie pienamente ogni risvolto del personaggio.


Ha completato il cast il Peppe di Jinxu Xiahou, che ha cantato la sua aria del secondo atto con leggerezza e giocosità, mostrando una voce limpida e intonata.


In entrambe le opere il coro del Teatro alla Scala è stato eccellente per compattezza e per velluto sonoro, con un apprezzamento particolare alla sezione maschile. In particolare, nel Regina Coeli di Cavalleria Rusticana, ma soprattutto nell'inizio del secondo atto di Pagliacci, in cui la potenza sonora ha raggiunto il suo apice. Da questo meraviglioso coro provengono anche Gabriele Valsecchi (Un contadino) e Luigi Albani (Altro contadino). Ottima anche la prestazione del Coro delle Voci Bianche dell’Accademia del Teatro preparato da Marco De Gasperi.


L'Orchestra del Teatro alla Scala ha suonato generalmente bene se non per qualche sporadica imprecisione delle trombe.


In entrambe le opere è stata ripresa la regia di Mario Martone, che già aveva calcato il palcoscenico del Piermarini altre tre volte da tredici anni a questa parte. In un teatro che dispone di regia di Cavalleria e Pagliacci firmate anche da Strehler e Zeffirelli, forse ci si potrebbe attendere anche qualche ripresa più storica. Entrambe le idee registiche di Martone, molto diverse tra loro e per questo forse prive di quel fil rouge che invece contraddistingue altre regie come quella di Damiano Michieletto, sono appropriate e non disturbanti. Mancano però alcuni riferimenti all'azione scenica. In Cavalleria Rusticana, in cui la scena è quasi sempre vuota e nera, il coro, alcune sedie, un altare e un crocifisso ricostruiscono l'interno di una chiesa. In quel momento Mamma Lucia invita Santuzza ad entrare in casa, elemento che manca completamente. La maggior parte dell'azione  narrativa di questa regia viene svolta dai costumi, molto curati. La regia di Pagliacci è invece spostata ai margini di una strada rialzata. L'azione è viva e movimentata. La regia predilige anche l'uso di macchine e furgoni che rendono l'azione più realistica. Elemento molto gradevole è stato il sapiente uso degli spazi teatrali come i palchi di proscenio (usati da alcuni coristi per assistere allo spettacolo della compagnia di Canio e da Lola per cantare la sua canzone) e alcuni posti in platea (usati da Silvio e da altri figuranti), oltre a due predelle montate sopra le parti marginali della buca dell'orchestra.


In conclusione, la regia non ha disturbato la comprensione della trama, risultando quindi nel complesso appropriata.


Lo spettacolo è stato quindi molto piacevole e ha ottenuto un successo sfavillante per le voci e per il direttore d'orchestra.  


 


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