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Bruckner Sinfonia 9 • Currentzis

Lorenzo Giovati

Barcellona, Palau de la Música Catalana. 23 Marzo 2025.

 

MusicAeterna, l’orchestra fondata dal visionario Teodor Currentzis, celebra vent’anni di attività. Dalla remota Perm, in Russia, sotto la guida meticolosa del maestro greco, l’ensemble ha saputo imporsi con forza sulla scena internazionale, scalando le classifiche e guadagnandosi un posto al vertice, accanto a compagini storiche come i Wiener e i Berliner Philharmoniker, la cui nascita risale però rispettivamente a 183 e 143 anni fa. Per festeggiare questo importante traguardo, l’orchestra ha iniziato una tournée tra Russia e Spagna, come sigillo di un percorso artistico che ha preso avvio con le prime incisioni discografiche, ha gradualmente, ma rapidamente, conquistato il mondo, anche grazie alla collaborazione con la Sony (basti citare la trilogia Mozart-Da Ponte, la Patetica di Tchaikovsky, la Tragica di Mahler…), e ha toccato i vertici della programmazione europea con inviti ai Festival di Salisburgo e Lucerna, la residenza alla Konzerthaus di Vienna, e concerti alla Scala di Milano, a Berlino e a Baden-Baden. I primi vent’anni di MusicAeterna raccontano quindi una storia relativamente breve, ma già da ora tra le più autorevoli del nostro tempo.


Per la prima tappa spagnola della tournée 2025, MusicAeterna è approdata al Palau de la Música Catalana di Barcellona, dove si celebra quest'anno un altro importante anniversario: il centenario della magnifica sala, progettata da Domènech i Montaner. In un clima di festa e di trepida  attesa, un pubblico numeroso e partecipe ha accolto con calore l’orchestra fondata dal maestro Currentzis, impegnata in uno dei vertici assoluti del repertorio sinfonico: la Nona Sinfonia di Anton Bruckner. Un’opera estrema e incompiuta, alla quale Bruckner dedicò gli ultimi nove anni della sua vita, segnati da una incipiente fragilità fisica, ma non da una minore tensione creativa. Lungi dall’essere un testamento musicale, la Nona sinfonia rappresenta piuttosto un confronto lacerante e definitivo con l’idea del Divino, una presenza che non si manifesta solo nel contenuto dell’opera, ma che plasma la forma stessa del pensiero musicale che in essa si dipana. La sacralità di Bruckner, pur non dichiarata apertamente in questa sinfonia, si esprime attraverso una tensione continua, quasi ossessiva: il numero tre, simbolo della Trinità, torna nei dettagli strutturali, nei disegni melodici ripetuti, nei salti armonici basati su intervalli di terza, nella tripartizione interna dello Scherzo. Ed è suggestivo pensare che Bruckner, cresciuto nel monastero di Sankt Florian e desideroso di dedicare la Nona “al buon Dio”, si sia fermato, a causa del suo decesso, a tre movimenti, come se la composizione del quarto non potesse spettare a lui ed anche la sua scomparsa dovesse essere, non è dato sapere se simbolicamente o beffardamente, un estremo omaggio al numero tre. Il confronto del Bruckner della Nona con Mahler, la cui Seconda Sinfonia è stata eseguita la sera successiva sempre a Barcellona, sebbene in altra sala, appare quasi inevitabile. Bruno Walter sosteneva che Mahler cercasse Dio, mentre Bruckner lo avesse trovato. Eppure, proprio nel terzo movimento della Nona sinfonia si avverte una connessione musicale molto evidente con il Mahler più tardo, in particolare con l’Adagio della sua Nona: due capolavori estremi che sembrano parlarsi nonostante le differenze musicali che caratterizzano questi due geni.


La lettura che il maestro Currentzis ha offerto della partitura bruckneriana ha confermato ancora una volta la sua capacità di affrontare i capolavori del repertorio con uno spirito visionario, che non si rifugia mai in soluzioni convenzionali o in scelte imitative. L’approccio direttoriale è stato personale, pensato, quasi architettonico nella gestione delle masse sonore, ma sempre alimentato da una carica emotiva profonda e partecipata. Non una nota è stata lasciata al caso. "Non una sola nota era morta", per riprendere un celebre commento alla nona beethoveniana di Furtwängler. Le prime battute del primo movimento, cupe e taglienti, sono state scolpite con un suono teso, nervoso, scandito anche nella timbrica orchestrale. Il tempo scelto è stato ampio, ma non eccessivamente dilatato, sostenuto da un respiro interno che ha impedito ogni forma di staticità espressiva. Le transizioni tra i blocchi tematici, così tipiche dello stile bruckneriano, sono state trattate con attenzione quasi chirurgica, senza mai pregiudicare l’organicità del discorso melodico. Ogni pausa, ogni sospensione è sembrata carica di presagi, come se il silenzio stesso partecipasse alla costruzione drammatica.


Nel secondo movimento, lo Scherzo, Currentzis ha evidenziato un raro equilibrio tra il vigore e la misura. L’impeto del tema iniziale non è mai stato caotico, bensì brutale, e sempre scolpito con grandissima precisione. Il carattere dell’intero movimento è stato reso vivacissimo, con un gioco brillante di contrasti tra le legature ampie e maestose degli ottoni e gli staccati nervosissimi degli archi, che hanno impresso al discorso musicale una tensione continua, quasi febbrile. Di particolare rilievo è stato il Trio, reso con sorprendente leggerezza e cantabilità, in netto e voluto contrasto con la conformazione granitica delle sezioni esterne. La coda finale, infine, è stata mozzafiato per energia e per coesione, con un’ultima nota staccata alla perfezione.


Ma è nel terzo movimento, l’Adagio, che la lettura del maestro Currentzis ha raggiunto i momenti di maggior altezza interpretativa. Currentzis ha costruito l’intero arco formale con una lucidità e con un rigore ammirevoli, evitando ogni cedimento al sentimentalismo o rallentamento eccessivo. Il fraseggio, ampio, ma sempre molto controllato, si è articolato con naturalezza e con continuità, mantenendo una tensione strutturale costante. Le dinamiche sono state calibrate con grande finezza. Particolarmente efficace è stata la gestione delle lunghe arcate armoniche, in cui il maestro Currentzis ha mostrato una profonda comprensione del linguaggio bruckneriano: i passaggi di transizione, spesso insidiosi per la loro ambiguità tonale, sono stati risolti con chiarezza e con coerenza, mantenendo un flusso unitario. L’orchestra ha risposto al gesto del “suo” maestro, con suono compatto e preciso, in particolare negli archi, che hanno saputo sostenere il tessuto musicale con una morbidezza e un’omogeneità rare, senza mai perdere in definizione. Il lavoro sulle dinamiche interne e sull’equilibrio timbrico ha permesso di far emergere con estrema chiarezza le linee contrappuntistiche, spesso sommerse in letture meno trasparenti. L’ultima sezione, infine, è stata affrontata con grande disciplina e con ammirevole concentrazione: l’atmosfera rarefatta è stata ottenuta grazie a un dosaggio calibratissimo di tempi e di dinamiche, culminando in una conclusione che, pur senza enfasi, ha lasciato un’impressione profonda di equilibrio e di compostezza.


MusicAeterna ha risposto in modo superlativo alla visione del “suo” direttore, dimostrando una qualità tecnica altissima, che è difficile immaginare migliore e distinguendosi per l’intonazione impeccabile, per la compattezza delle sezioni, ma soprattutto per la capacità di plasmare il suono in una tavolozza timbrica di rara varietà e finezza. Ogni registro è stato controllato con minuzia, come se ogni gesto strumentale fosse parte di un disegno collettivo più ampio, coerente e profondamente interiorizzato. Gli archi, in particolare, si sono distinti per omogeneità e per duttilità: i violini hanno saputo passare con naturalezza da sonorità filanti e sottili a sonorità più dense e corpose, senza mai perdere in nitidezza; le viole e i violoncelli hanno fornito un sostegno armonico sempre chiaro, e nei momenti più lirici sono emersi con un suono vellutato, mai invadente; i contrabbassi, infine, hanno dato profondità al tessuto orchestrale, garantendo una presenza solida e raffinata. I fiati, ben bilanciati, si sono mossi con naturalezza nel respiro collettivo: nessuna voce è emersa per eccesso, ma tutte hanno partecipato alla costruzione di un equilibrio dinamico semplicemente perfetto. Oboe e clarinetti, in particolare, si sono segnalati per la loro intonazione pura e per il loro fraseggio cantabile, mentre i flauti sono riusciti a inserirsi nei passaggi più diafani con leggerezza e con precisione. La sezione degli ottoni, notoriamente cruciale in Bruckner, ha saputo coniugare compattezza e controllo: la potenza sonora e l’intonazione perfetta sono sempre state declinate con una grande attenzione all’impasto, evitando qualsiasi effetto di eccessiva saturazione. Le entrate sono state nette, pulite, e la loro presenza ha contribuito più alla struttura drammatica che a una semplice funzione enfatica. Le percussioni, infine, dosate con intelligenza drammatica, hanno saputo marcare i punti strutturali con precisione estrema, senza mai risultare troppo presenti. Nel complesso, il pubblico ha percepito un’orchestra, che non solo è stata tecnicamente ineccepibile, ma che è stata perfettamente modellata sul pensiero interpretativo del “suo” direttore, capace di dar forma a ogni dettaglio con lucidità, sensibilità e controllo.


Il pubblico ha quindi assistito un’esecuzione di quelle che non si dimenticano per la sua straordinaria lucidità e per l’inimitabile forza interiore. Una Nona di Bruckner lontana da ogni forma di monumentalismo, ma non per questo meno maestosa: intensa, pensata, viva. Forse tra le letture più convincenti di sempre. E una serata che, nel solco dei grandi anniversari, ha

saputo essere anche un momento irripetibile di verità musicale. 

 


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