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Lorenzo Giovati

Beethoven Sinfonie 8 - 9 • Gatti

Roma, Auditorium Parco della Musica. 27 Giugno 2024.

 

Il concerto del 27 giugno u.s. ha concluso, al Parco della Musica Ennio Morricone di Roma, l’esecuzione integrale delle nove sinfonie di Ludwig Van Beethoven, curata musicalmente dal maestro Daniele Gatti. In esecuzione erano le ultime due sinfonie, l’ottava e la celeberrima nona, vale a dire la più corta e la più lunga del ciclo. Queste ultime due sinfonie verranno eseguite nuovamente dal maestro Daniele Gatti il 20 settembre p.v. con l’Orchestra Mozart di Bologna. Data la fama della nona sinfonia, la grande Sala Santa Cecilia era, come si poteva facilmente prevedere, gremita in ogni ordine di posti da un pubblico di ogni età, buona parte del quale ha però potuto accedere all’auditorium solo durante l’intervallo probabilmente a causa della difficoltà, interposta dal traffico romano, reso più intenso dalla concomitanza di altri eventi musicali, a raggiungere in tempo il luogo del concerto. 


La prima parte del concerto ha proposto l’ottava sinfonia in fa maggiore, che rievoca le atmosfere classicheggianti delle prime due sinfonie e delle composizioni sinfoniche precedenti a Beethoven (Mozart e Haydn, in prevalenza). Il primo movimento è iniziato con accordi poco decisi, che non hanno reso perfettamente l’esplosione di gioia che questa sinfonia emana fin dalle sue prime battute. Il maestro Gatti ha scelto un tempo corretto e dinamiche eleganti e mai nervose, che però sono andate a discapito della brillantezza e dell’energia del brano. La sezione dei violini è apparsa un poco attutita nel volume, mentre eccellente è stata quella dei fiati, come quella delle percussioni. Il movimento ha acquisito un poco di dinamicità solo verso la fine, con l’incursione dei corni. Il secondo movimento, disegnato su un tempo più veloce rispetto al precedente, è invece stato molto piacevole, per le dinamiche lievi e ben ritmate, grazie all’ottimo lavoro dei fiati. I violoncelli, chiamati ad eseguire qualche nota velocissima, sono stati eccellenti, così come i violini che, con levità, hanno delineato un movimento divertente e grazioso. Il terzo movimento, che tanto fece impallidire i commentatori dell’epoca, che non riuscivano a spiegarsi questo “ritorno al passato” di Beethoven con il riutilizzo di un minuetto (che Beethoven sostituì con uno scherzo fin dalla prima sinfonia), dopo così tante innovazioni sinfoniche, è stato reso in modo soddisfacente dal maestro Gatti, che ha privilegiato una lettura raccolta, ma, per contro, un poco spenta. Il quarto movimento (Allegro vivace) è stato invece impostato su un tempo non rapidissimo, ma non ha comunque peccato per carenza di energia, forse grazie anche alle ottime incursioni di corni e trombe fin dall’esposizione del tema. Il movimento è stato comunque, nel complesso, ancora una volta poco luminoso. L’energia pura è arrivata solo con la coda conclusiva, ben scandita dagli staccati degli archi e delle trombe insieme ai timpani.


L’esito ne è stato di un’ottava sinfonia complessivamente di buona fattura, ma limitata nell’energia e nella vivacità. L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha suonato generalmente bene, come al solito, anche se non perfettamente come in altre occasioni si è sentito.

 

Dopo l’intervallo, l’orchestra (ampliata nel numero di orchestrali) e il maestro Daniele Gatti, sono ritornati sul palco per eseguire la nona sinfonia, nell’attesa generale.  

Il primo movimento è subito apparso molto differente, a livello di impostazione orchestrale, dalla precedente ottava sinfonia. Fin dalle prime battute, l’orchestra è sembrata molto più decisa nel suono (forse perché più ricca di orchestrali). Il maestro Gatti non ha indugiato molto sulle prime note del movimento, precipitandosi ad eseguire molto velocemente l’esplosione successiva. La direzione è stata quindi assai serrata, con qualche momento di “tregua” (nelle dinamiche, non nei tempi) per lasciar scorrere la melodia, anche se qualche rallentando di tanto in tanto avrebbe meglio valorizzato l’intensità di alcuni passaggi, che invece sono stati un poco sacrificati al rigore formale dell’impostazione complessiva. Nelle battute centrali di maggiore concitazione orchestrale, il maestro Gatti ha tenuto i timpani contenuti nel suono, mantenendo la tensione controllata fino all’esplosione centrale. La coda finale del movimento, addirittura quasi più veloce del movimento stesso, è stata sicuramente eseguita molto bene, con un suono orchestrale potente e solido, sebbene le dinamiche di violini e fiati abbiano reso un poco nervosa questa parte del movimento. L’esito complessivo, però, è stato apprezzabile, anche se non travolgente.


Un poco deludente è stato invece il secondo movimento, in cui il maestro Gatti ha portato avanti l’idea che già era emersa in alcuni frangenti di precedenti sinfonie, ovvero la costante ricerca di effetti sonori, di dinamiche e di suggestioni musicali che possano apparire “nuove” per l’ascoltatore, frutto di una ricerca costante e accurata. Tale atteggiamento direttoriale, in sé stesso encomiabile, oltre che coraggioso, non sempre però approda ad esiti pari alle intenzioni e, in alcuni casi, si risolve in un discorso tutto interno alla scelta direttoriale, senza tradursi per il pubblico in una pari e tangibile godibilità dell’ascolto. Ed è ciò che è avvenuto in questo secondo movimento, come in minima parte anche nel terzo, in cui all’ascoltatore, al termine di esso, è rimasto un senso di inappagamento e di incompiutezza. E ciò vale a maggior ragione per le nove sinfonie di Beethoven, le quali, essendo appartenute al patrimonio esecutivo e interpretativo di tutti i Direttori più importanti, scontano una  sorta di prassi esecutiva che rende particolarmente difficile ricercare spazi di significativa innovazione, che possa, per di più, essere restituita tangibilmente alla percezione di chi ascolta, non come un addetto ai lavori.  E’  così le prime battute del secondo movimento, eseguite tradizionalmente in modo staccato e ritmato, sono state proposte dal maestro Gatti in un’esecuzione un poco pesante e trascinata, perdendo di brillantezza. Benché il tempo fosse corretto e variato all’interno del movimento, alcune dinamiche non hanno spesso convinto o non hanno rispettato appieno la partitura: è il caso dei colpi di timpani di battuta 195 e seguenti, eseguiti tradizionalmente quattro volte forte e una volta piano (la partitura infatti al quinto colpo segna dimin. ovvero diminuendo) e non cinque volte forte. Nella parte centrale del movimento, invece, le dinamiche più morbide e aggraziate di violoncelli e fiati sono state splendidamente eseguite ed interpretate, ma quando è avvenuta la ripresa dell’inizio, il contrasto tra la delicatezza della parte precedente e la pesantezza dell’inizio è apparsa non appropriata per uno scherzo.


Il terzo movimento è iniziato in modo bellissimo con dinamiche morbide ed estremamente cantabili. Tuttavia, la scelta di un tempo molto rapido (in confronto al tempo dilatato, ma elegantissimo ed efficacissimo, dell’edizione di Bernstein o dell’edizione del maestro Muti con i Wiener Philharmoniker, ripetuta anche in occasione del bicentenario recentemente celebrato), non ha favorito la creazione di un’atmosfera suggestiva e riflessiva, indebolendo anche la profondità emotiva che contraddistingue questo movimento e rendendone l'interpretazione meno incisiva dal punto di vista espressivo. Mentre la precisione tecnica è stata impeccabile, è mancato quel senso di sospensione e di delicatezza che il tempo più lento permette di sviluppare, coinvolgendo l'ascoltatore in un viaggio emotivo più intenso e meditativo.


Il livello dell’esecuzione, che sino alla fine del terzo movimento era buono, ma rendeva questa nona una delle tante belle none di Beethoven che si possono sentire in giro per l’Europa, è sensibilmente cambiato nel quarto movimento, in cui il tratto direttoriale e orchestrale si è fatto significativamente distintivo. L’inizio molto ritmato e il cantabile molto espressivo dei violoncelli (che sembravano quasi parlare), ha dato il via all’inno alla gioia, eseguito, prima con sommessa delicatezza, poi con crescente (seppur non travolgente) energia (soprattutto nelle trombe). Le dinamiche del movimento sono state travolgenti, soprattutto nella marcia e nel successivo fugato, entrambi eseguiti con un tempo eccellente, senza sembrare frenetici. Nella parte successiva, alle dinamiche luminose e di ampio respiro, se ne sono alternate altre un poco più riflessive ed intime, creando un contrasto eccellente. La coda del movimento, in cui non ha prevalso l'energia orchestrale fin da subito, venendosi a sviluppare gradatamente, è stata (subito dopo la fine della parte corale) molto rapida e coinvolgente.

Un bellissimo quarto movimento.


Il cast vocale, per parte sua, è stato all’altezza dell’occasione. Vi ha primeggiato la bella voce spontanea e intonata della soprano Sara Blanch, che ha già lavorato con il maestro Gatti, ad esempio come Norina nel recente Don Pasquale fiorentino e come voce solista nella quarta sinfonia di Mahler, sempre al Maggio Musicale Fiorentino. La sua voce chiara e ottimamente controllata si è adattata perfettamente alle esigenze della partitura. Al suo fianco non è stata da meno è il mezzosoprano Eleonora Filipponi che, sebbene a tratti un poco coperta dalle altre voci (soprattutto quelle maschili) e dall’orchestra, ha fornito una performance pregevolissima. Sul fronte maschile, che emerge maggiormente nella partitura beethoveniana con due parti soliste (l’inizio del baritono e la marcia del tenore), è spiccato il tenore Bernard Richter, che ha contato con voce chiara e intonata (seppur non senza qualche leggera difficoltà di gestione del fiato) e che ha eseguito bene la sua parte da solista. Molto bravo è stato anche il basso Jordan Shanahan.


Il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stupendamente preparato dal maestro Andrea Secchi, ha riconfermato la sua qualità straordinaria. Giovedì sera, in particolar modo, la compattezza, il volume, l’intonazione, il fraseggio, e le parole scandite perfettamente, hanno consentito un’esecuzione di livello eccelso.


L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha mantenuto un tenore esecutivo molto alto per tutta la durata della seconda parte del concerto, soprattutto nelle sezioni di percussioni e fiati. I violini hanno suonato generalmente bene, così come gli ottoni, che non sono sempre stati impeccabili.


La summa di questi quattro concerti romani è stata sicuramente molto positiva. Da appassionato posso affermare che aver avuto l’opportunità di ascoltare tutte le sinfonie di Beethoven dirette da un medesimo (e bravo) direttore, è stata un’esperienza comunque magnifica.

 

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