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Lorenzo Giovati

Beethoven Sinfonia 9 • Onofri

Parma, Auditorium Paganini. 1 Gennaio 2023.

 

Buon anno a tutti i lettori di Classicamente!

Tra il 31 dicembre e il primo gennaio è di buon auspicio, secondo la tradizione viennese, ascoltare una nona sinfonia di Ludwig Van Beethoven, capolavoro intramontabile, di cui quest'anno ricorrono i 200 anni dalla prima esecuzione. Quest'anno la Filarmonica Arturo Toscanini di Parma ha deciso di proporla, affidandone l’esecuzione al suo direttore principale maestro Enrico Onofri, i cui meriti artistici sono attestati dai riconoscimenti che egli sta ottenendo anche sul piano internazionale.


L’interpretazione che il maestro Onofri ho offerto del capolavoro beethoveniano non mi è parsa però particolarmente felice e, nel complesso, mi ha restituito un ascolto della sinfonia in cui il respiro creativo del compositore, che la tradizione esecutiva ci ha proposto nelle molteplici esecuzioni di tanti grandi direttori, mi è parso invece sacrificato a causa dell’adozione di tempi eccessivamente rapidi, se non, in alcun passaggi, addirittura frenetici, non efficacemente compensati con alcuni momenti di esasperata dilatazione delle dinamiche orchestrali. L’esito che ho percepito è stato quindi di un’esecuzione nervosa, in cui ho cercato, senza esito, di rinvenire un’impronta interpretativa nitida e coerente.

  

E così, nel primo movimento il maestro Onofri, sin dai primi accordi, ha adottato un tempo velocissimo che ha limitato la capacità dell'orchestra di restituire emozioni coinvolgenti, come, ad esempio, la malinconia o il tormento. Sul piano esecutivo, poi, la rapidità dei tempi mi è parso abbia creato problemi di coesione tra gli strumenti, generando attacchi non perfettamente sincronizzati, che si sono colti.


Meno esasperato mi è sembrato il secondo movimento, sebbene sempre impostato su tempi rapidi. Dalla battuta 404 la partitura recita "stringendo il tempo" per poi culminare alla battuta 413 con "presto". Se ho ben sentito, l’orchestra ha invece eseguito un "rallentando", che è culminato in un tempo lento. Ciò ha determinato diversi problemi, tra cui l'intonazione dei corni dalle battute 453 e seguenti, niente affatto ineccepibile.


Anche il terzo movimento, nuovamente troppo rapido, non mi ha entusiasmato. Mi parso semplicemente eseguito, in un modo un poco meccanico, senza la cantabilità che questo “adagio molto” richiede e che gli è essenziale. In tal modo, un brano di musica meraviglioso, si è diluito in un’esecuzione un poco insignificante.  


Tutto il quarto movimento, infine, è stato eseguito in modo smisuratamente rapido, con l’esito che la ricerca di un’efficienza orchestrale, peraltro non sempre conseguita, è andato a discapito dell’approfondimento emozionale. Persino l’inno alla gioia, che pur è stato ben eseguito, è risultato freddo.


In questo contesto, anche la parte vocale, ha faticato a distinguersi, non fosse altro perché i tempi strettissimi adottati dal maestro Onofri hanno concesso ai cantanti pochissimo spazio per lasciare un segno. Il basso Ugo Guagliardo non mi è parso a suo agio nel "O Freunde, nicht diese Töne" e nel successivo "... und freudenvollere!", lasciando trasparire un’intonazione precaria e una certa pesantezza nell’eseguire arpeggi e note che, tra l’altro, non mi risultano nemmeno scritte nella partitura beethoveniana. La soprano Sarah Gilford e il mezzosoprano Valentina Stadler, che hanno iniziato a cantare poco dopo il basso, sebbene molto sacrificate dalla posizione sul palcoscenico, mi sono entrambe parse vocalmente pregevoli e interpretativamente corrette. Il tenore Mark Milhofer, infine, che ha sostituito all'ultimo Julian Hubbard, indisposto, ha evidenziato un volume modesto, nonostante abbia avuto la possibilità di eseguire il suo assolo "alla Marcia" davanti all’orchestra (mentre gli altri cantanti erano posizionati dietro), in una posizione preminente. In ciò non è forse stato aiutato dalla scelta del maestro di imporgli un tempo che è garbato definire frenetico.


Un incondizionato apprezzamento, invece, merita il coro del Teatro Regio, guidato benissimo, come sempre, dal maestro Martino Faggiani, che ha offerto una prestazione eccellente per potenza e compattezza. La nota artistica migliore del concerto.  La Filarmonica Toscanini, per parte sua, ha suonato nel complesso abbastanza bene, anche se la conduzione molto serrata del maestro Onofri non è bastata per celare completamente alcune carenze, sia di volume, soprattutto negli archi, sia di intonazione, soprattutto nei fiati, sia infine di velluto sonoro, non di rado abbastanza ruvido. 


Concludendo, quindi, nonostante la bellezza della partitura, non posso esimermi da esprimere riserve sull’esito esecutivo.




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